- Mark Hunter - voce
- Andols Herrick - batteria
- Matt DeVries - chitarra
- Rob Arnold - chitarra
- Jim LaMarca - basso
- Chris Spicuzza - elettronica
1. Resurrection
2. Pleasure In Pain
3. Worthless
4. Six
5. No Reason to Live
6. Killing the Beast
7. The Flame
8. End it All
9. Black Heart
10. Needle
11. Empire
12. Kingdom of Heartache (bonus track)
13. Paralyzed (bonus track)
Resurrection
Cambiata label, gli statunitensi Chimaira non si fanno attendere più di tanto e dopo due anni scarsi dall'omonimo album, ecco regalarci il nuovo attesissimo album, il quarto della carriera. Chimaira è stato un album controverso, che ha spaccato la critica e che non aveva forse l'impatto dei precedenti lavori; tuttavia è stato un anello fondamentale nel percorso compositivo della band dell'Ohio, che nonostante una sezione ritmica traballante, è riuscita a costruirsi una base solida e un mercato fedele. E non c'è da nasconderlo, i fan non rimarranno delusi da questo nuovo capitolo. Un combo quello di Cleaveland che con una naturalezza disarmante è riuscita nel corso degli album a convogliare nel proprio sound quasi ogni tipo di corrente metal conosciuta, prendendo ora dall'una ora dall'altra ciò che meglio poteva. Sonorità heavy classiche, riff taglienti e metriche fulminee, il tutto inserito in un contesto post-thrash davvero soffisticato.
Se dunque le prime tre release indicavano una specie di percorso che Mark e compagni hanno intrapreso, la quarta proposta segna una consacrazione (qualora ce ne fosse bisogno), più che una rinascita. Ed è la title-track Resurrection ad aprire il platter, che ritrova Andols per l'occasione dietro le pelli: un drumming ipnotico, una rabbia indomata che esplode e non da il che minimo segno di cedimento, mentre le chitarre imperversano un thrash contagioso, capace di tenere alta la tensione e incitare un headbanging furioso. Le fasi di relativa calma risaltano incredibilmente la rabbia di Hunter, così come le cadenze delle chitarre, che lentamente scivolano nel finale, fornendo un bridge alla seguente Pleasure In Pain; il pezzo vede il ritorno del clean vocals, oltre che a risaltare maggiormente la presenza di Chris, che nel brano si sente quel giusto, non partecipe più dello stretto necessario un sound diretto e spregiudicato. Spicca nella tracklist la quarta Six e i suoi nove minuti e quarantasei di durata: il breve intro elettronico sorretto dalle chitarre e dai sussurri del front-man si sfoga presto in cadenze scandide e ferme, nel corso delle quali assistiamo a svariati momenti di preziosi mini soli di Matt e Rob. La parte centrale del pezzo è una epopea classica molto coinvolgente quanto elaborata, l'heavy delle chitarre si contrappone alla forza delle percussioni, così come nel finale, intermezzato dall'ultima strofa cantata che riprende la fase iniziale della canzone. Su questo meccanismo classico - thrash i sei costruiscono un album che non sembra dare cenni di cedimento, in grado di reinventarsi al suo stesso interno, coprendo ogni minimo punto interrogativo che i precedenti capitoli avevano potuto lasciare. Una composizione matura, un album non immediato nel suo complesso, molto elaborato e ricercato, ma in grado di coinvolgere sotto ogni suo aspetto, da quello ritmico/metrico a quello più classico e melodico. L'edizione digipack prevede due brani extra: Kingdom of Heartache e Paralyzed, piccolo gioiellino di tre minuti che chiunque decidesse di iniziare una band thrash o metalcore deve assolutamente studiare e memorizzare.
Brano dopo brano, i Chimaira si impossessano dell'album più maturo della carriera. Il ritorno di Herrick è celebrato dallo stesso con una prestazione impeccabile, un drumming infermabile quanto letale. Gli seguono a ruota tutti gli altri componenti della band, che danno il meglio di se stessi, e una produzione lodevole (nonostante si senta lo stacco dalla RoadRunner, che in quel campo, non sbaglia un colpo). Non ci sono restrizioni sull'acquisto, è un lavoro che può accontentare anche i palati più soffisticati. L'unico consiglio è quello di ascoltarlo nel tempo prima di un giudizio definitivo, non è immediato come sembra, e alcune approssimazioni possono far perdere elementi di assicurata dedizione alla causa.