- Klayton - voce, chitarra, tastiera, samples, percussione
- Dale Van Norman - chitarra elettrica, chitarra acustica, tastiera, percussioni, cori
- Kemikal - basso, chitarra, tastiera, percussioni, cori
- Caise - batteria elettronica, percussioni
1. Cell 1
2. Switchback
3. Stay With Me (Unlikely)
4. The Last Fistborn
5. Under My Feet
6. I Believe You
7. Frozen
8. Symbiont
9. Afraid This Time
10. Fadeaway
11. Cell 2
12. So Sorry to Stay
13. Own Little World
14. Unlikely (Stay With Me)
15. One Good Reason
16. The Stars of Orion
17. Cell 3
18. Welcome to the End
Celldweller
I Celldweller, proposta davvero particolare che potremmo per semplicità definire come un industrial/nu metal dalla forte componente elettronica, sono la one-man band ideata dalla mente di Klayton (aka Klay Scott / Eric Klayton, già noto per alcune collaborazioni con Circle Of Dust, Argyle Park e Prong) a Detroit nella fine degli anni '90, che scrive tutta la musica e si occupa della quasi totalità degli strumenti e delle parti vocali. Dopo aver inoltre reclutato per i live Dale Van Norman (chitarra, tastiere), Kemikal (basso, chitarra, tastiere) e Caise (batteria), Klayton è ormai pronto per sfogare la sua creatività: siamo nel 2003 e l'album omonimo prende così forma dopo lunge ore spese in studio a progettare l'elaborato caleidoscopio di sonorità diverse che l'americano reinterpreta in maniera personale ed accattivante.
E' un disco interessante, dove riff sincopati riconducibili ad un nu metal capace di virare nei momenti più aggressivi anche sul nu/groove viene sapientemente mescolato a spunti industrial metal con la sua dura meccanicità e soprattutto ad una base elettronica molto variegata e preponderante, che pervade ogni singola canzone aumentando l'aura "moderna" del disco. L'elettronica naviga soprattutto su lidi trance e drum'n'bass, ma occasionalmente aggiungendo un pizzico di techno qui, qualcosa house là; a volte facendo anche tornare in mente vagamente i Fear Factory più ricchi di campionature, altre volte richiamando più Trent Raznor e i suoi Nine Inch Nails in particolar modo con le vocals (molto flessibili e spazianti da mezzi-sussurri ad un rabbioso canto urlato fino al canto pulito melodico), ma l'attitudine di fondo rimane ancorata ad un piglio danzereccio che rende le canzoni molto orecchiabili e radio-friendly.
Un mescolamento di sonorità aggressive e pestate ma sempre melodiche a parti moderne decisamente più ballabili quindi, stilisticamente originale, catchy e ricco di trascinantezza: praticamente mancherebbero solo parti rappate, alcuni coretti emo e un po' di ritornellini teen per avere la nemesi perfetta di un truemetaller. Scherzi a parte, i Celldweller sono uno dei gruppi electro rock/metal di inizio millennio più interessanti, e questo debutto omonimo è la loro chiave per imporsi soprattutto nella scena nu metal (in forte decadenza creativa) e guadagnarsi uno spazio meritato fra tutti gli altri gruppi. Sfortunatamente, dopo questo disco i Celldweller non avrebbero lasciato altri LP per molti anni ma solo un bootleg (The Beta Cessions) e alcuni EP, ma per ora concentriamoci sul loro primo e unico disco. Un difetto relativo di Celldweller è forse l'eccessiva lunghezza. A lungo andare alcuni brani risultano monotoni, non perché lo siano di per sè, ma più che altro perché superata la dozzina di canzoni il disco potrebbe iniziare leggermente a ripetersi, e perciò con meno canzoni avrebbe goduto di una maggiore freschezza. Si scopre che le canzoni migliori però sono le ultime, se ci si immerge totalmente nell'ascolto. Presi singolarmente comunque, sono davvero pochissimi i brani non perfettamente riusciti, forse ad esempio una ballad un po' banale che stona eccessivamente nel contesto di un album di questo genere; per contro altre ballate però sono piccole perle di sinfonia elettronica e melodia acustica combinati, e riescono invece ad inserirsi perfettamente e a risultare grandi pezzi, fra i migliori del disco.
Essendo tutti i brani molto orecchiabili e potenziali singoli d'impatto - il che sostanzialmente rende il disco per certi versi pop -, si potrebbe anche dire che quest'album è poco orientato per un ascolto complessivo del full-lenght e più funzionale come raccolta di brani godibili da ascoltare a scelta libera, ma questo è interamente soggettivo. Più rilevante è che, almeno per quanto riguarda la prima metà del disco (la seconda la supera di netto) si può percepire una sezione ritmica che svolge egregiamente il suo lavoro ma non è trascendentale poiché alle volte tende a seguire un linguaggio un po' abusato e stereotipato; e delle chitarre nel complesso efficaci ma ugualmente dal rendimento altalenante, dato che vengono alternati riff molto trascinanti ad altri meno incisivi. Questo si può perdonare se si tiene conto che il songwriting di Klayton si recupera alla grande nella seconda metà. Il lato più attraente di Celldweller è sicuramente quello elettronico, ben dosato e che da un grande spessore a ciascuno dei diciotto brani. Anzi, poteva essere anche più grande, e come risultato il full-lenght ne avrebbe (ovviamente) giovato ancora di più.
Così dopo la breve introduzione di Cell 1 veniamo catapultati direttamente nell'anima dell'album: con la famosa e memorabile Switchback e la successiva Stay With Me abbiamo brani di media durata dal forte impatto dove i campionamenti elettronici condiscono il tutto come ciliegine sulla torta. Le chitarre distorte navigano abilmente fra il sostegno come muro sonoro alla melodia dei chorus e la presa diretta delle redini, con riff cupi e aggressivi, forse non in grossa quantità ma sempre di per sè catchy. The Last Fistborn espande il lato elettronico, con passaggi quasi discotecali, e allunga la durata del brano che arriva a quasi otto minuti; forse però sarebbe stato meglio rimanere sui quattro minuti, per sfruttare al meglio l'impatto della canzone che dopo un po' inizia a farsi leggermente ripetitiva. Dopo la parentesi di Under My Feet (una ballata carina ma tutto sommato trascurabile) ritorniamo con I Believe You sui binari che abbiamo già incontrato, ma suggerirei di soffermarsi maggiormente sulla track seguente, e cioè Frozen: nuovamente di lunga durata (sette minuti), ma ancora più efficaci che in The Last Fistborn, anche per via della componente maggiormente atmosferica della canzone; i riempimenti elettronici amplificano l'effetto delle distorsioni angoscianti, mentre la batteria alle volte si fa un po' monotona, e una maggiore cura delle sue parti avrebbe influito positivamente sulla resa delle singole canzoni. Dopo questo ad ogni modo passiamo ai brani migliori della prima parte dell'album, gli ultimi, con pezzi riuscitissimi come Symbiont, e Fadeaway, che si nota particolarmente per l'intermezzo acustico che la trasforma in una ballad riuscitissima. E a proposito di ballad, Afraid This Time, dopo un inizio che fa venire in mente alcuni effetti degli Evanescence, si assesta nuovamente su questa forma, e il risultato è molto migliore di Under My Feet, nuovamente per effetto dell'inserimento dell'elettronica che da tutto un altro sapore alla canzone. Breve parentesi con Cell 2 che da il via alla seconda parte dell'album. Riprendendo in parte l'effetto iniziale di Afraid This Time, So Sorry to Stay è una hit elettronica azzeccatissima, dove le tastiere, sfociando anche in alcune brevi strings e supportate dalla presenza dinamica della batteria, dipingono piccoli scenari capaci di far balzare la traccia direttamente fra le migliori del repertorio. Own Little World accresce in potenza con il suo chorus aggressivo, contrastato da un successivo refrain maggiormente orecchiabile. Se escludiamo l'ottima strumentale (se non per alcuni vocalizzi) acustico/campionata Unlikely, da qui in poi si fa sempre tutto più oscuro, e anche brutalmente maligno. One Good Reason è quindi il brano in assoluto più feroce e cattivo di tutto il disco, un pugno diretto nello stomaco accresciuto dalla violenza del canto ruggito, che non rinuncia ad una forte componente melodica, il cui forte effetto si farà sentire maggiormente nei live dove si potrà sprigionare tutta la sua furia di grande impatto. L'angoscia spettrale del gelido cosmo si ritrova invece nella strumentale The Stars of Orion, un altro dei pezzi più riusciti di tutto il full-lenght. Come per la prima parte, anche la seconda riserva i suoi brani migliori sul finire. E se la seconda parte è migliore della prima, possiamo concludere che lo svoglimento dell'ascolto è un piacevole crescendo in qualità. Cell 3 anticipa la stupenda Welcome to the End a chiusura di Celldweller, un brano interamente atmosferico che porta a termine perfettamente la conclusione del platter con un'aura onirica accompagnata da dei downtempo che rendono il pezzo quasi trip-hop.
In sede finale, sarebbe potuto essere un album anche migliore se si fosse posta maggior cura nel songwriting in alcune parti (alcune canzoni alla lunga possono risultare un po' deboli per i motivi già detti all'inizio). Un po' per ironia della sorte, il rammarico di questo grande potenziale insito nei Celldweller è il potenziale stesso, poiché emerge a più riprese che gli americani hanno tutte gli attributi per poter fare ancora di meglio. Certamente una realtà interessante, quella dei Celldweller, da tenere d'occhio, dato che hanno annunciato un nuovo album in previsione per il 2007. Vedremo se si sapranno confermare.
Aneddoti: ciascuna canzone di quest'album è stata inclusa nella colonna sonora di un film, programma televisivo, videogioco ecc., risultato raggiunto solo da pochi altri (Moby, The Crystal Method). Inoltre nel 2004 i Celdweller vinsero ben cinque premi, come album dell'anno, produttore dell'anno, album industrial dell'album, canzone metal dell'anno (One Good Reason), migliore brano industrial (Switchback, andandoci vicino anche con Stay With Me), e sfiorando il premio come migliore canzone rock (I Believe You). Infine, riguardo al significato del nome ci sono diverse interpretazioni, alcune fanno riferimento al precedente progetto di Klayton, i Brainchild che rilasciarono una canzone di nome Hell Dweller, combinato al lungo tempo passato a produrre l'album, per cui i suoi amici iniziarono a chiamare scherzosamente il suo lavoro "Celldweller". Altre interpretazioni fanno riferimento al fatto che alcune precedenti band di Klayton venissero definite "christian industrial", per cui Celldweller dovrebbe avere in sè connotazioni spirituali. Klayton si limita a dire che il nome fa riferimento al suo retaggio culturale personale e che preferisce non spiegare altro, lasciando che i fan lo interpretino come meglio credono.