- Christophe Thys - chitarra
- Pascal Thys - basso
- Xavier Waerenburgh - batteria, tastiere
- Michael Colart - chitarra
- Gauthier Vilain - chitarra, samples, voci
1. Like Wolves
2. For The Fallen
3. Anthem For Doomed Youth
4. Four Lost Soldiers
5. The Departure
6. Fifty Years Under The Tent
7. No Prayers, No Bells, No Homeland
8. Death For Treason
Here Dead We Lie
Se l'esordio del 2007, Mountain Tops are Sometimes Closer to the Moon, ha aperto ai Cecilia Eyes - seppur timidamente - le porte del panorama post-rock underground, il nuovo full-lenght Here Dead We Live è destinato a trascinare il complesso belga sempre più verso i piani alti del genere. Questo almeno nelle premesse e nel gran vociferare (di critica e fan) che vi si è creato attorno: non in pochi hanno infatti accolto il nuovo album dei Cecilia Eyes gridando al (quasi) capolavoro, facendo di conseguenza crescere in maniera esponenziale le aspettative dei maggiori aficionados di post-rock et similia.
Il fatto è che, spesso, sono proprio queste magniloquenti pubblicità esterne, sono questi eccessivi abusi di "complimenti e congratulazioni" e di "sono i nuovi alfieri del post-rock", che finiscono per rovinare il giudizio di un disco. Here Dead We Live (almeno per quanto riguarda la soggettività del recensore) risente di questo stato di cose e alla fine, pur senza deludere, rischia seriamente di lasciare l'amaro in bocca.
Riflessivo, armonioso e pervaso da un'atmosfera semi-onirica e cullante, il secondo album dei Cecilia Eyes fatica però a trasporre questa dimensione espressiva in un linguaggio peculiare, abbandonandosi a soluzioni e fraseggi strumentali ià abbondantemente studiate e articolati dai mostri sacri del genere e dai loro adepti. In fondo - e capirlo tutto è fuorchè complesso - Here Dead We Live riprende senza troppi fronzoli le tre 'scuole madri' del post-rock: da una parte le ampissime distensioni atmosferiche del paradigma canadese-americano (Godspeed You! Black Emperor mischiati al retrogusto shoegaze di Caspian e destroyalldreamers e alla melodiosità degli Explosions in the Sky), dall'altra la tensione e il tocco esecutivo del post-rock inglese del dopo-Mogwai (Crippled Black Phoenix e iLIKETRAINS), senza contare il contributo - a dir poco decisivo - delle stratificazioni chitarristiche tipiche dei giapponesi Mono (il semi-plagio Four Lost Soldiers non avrebbe sfigurato come bonus track di Hymn to the Immortal Wind).
Ma l'essenziale problema di Here Dead We Live è che a questa scarsa vena di originalità i Cecilia Eyes aggiungono un profilo melodico mai abbastanza deciso (la ben strutturata opener Like Wolves che manca però di grande intensità) e che troppe volte sfocia nel ridondante e nel romanticismo sdolcinato a tutti i costi (The Departure). In ogni caso i Cecilia Eyes si riprendono in parte con For the Fallen - unico brano che, pur esprimendosi all'interno della medesima gabbia stilistica, coinvolge ed emoziona - e con la fase distorta simil-sludge di No Prayers, No Bells, No Homeland che, a conti fatti, risulta essere l'unica vera e propria scossa del disco, diametralmente opposta alle soffici atmosfere sognanti (comunque mai veramente toccanti) di Fifty Years Under the Tent e della conclusiva, melodrammatica Death for Treason.
Ci si aspettava un forte segno di maturità e di miglioramento ma i Cecilia Eyes hanno fatto tutto fuorchè dimostrarlo veramente: di dischi così derivativi e visceralmente legati ai suoi instancabili mostri sacri il post-rock può e (soprattutto) deve farne a meno. Insomma, Here Dead We Lie è un disco che potrebbe far impazzire di gioia i neofiti per via della sua melodiosità e della sua chiarezza espressiva, ma rimane pur sempre un lavoro che dirà ben poco agli ascoltatori più 'colti' e rodati. E, ora come ora, questo è più che mai un dilemma da risolvere per troppi gruppi.