- Max Cavalera – voce, chitarra
- Marc Rizzo – chitarra
- Johnny Chow – basso
- Igor Cavalera – batteria, percussioni
Guests:
- Roger Miret (Agnostic Front) – voce in Lynch Mob
1. Warlord
2. Torture
3. Lynch Mob
4. Killing Inside
5. Thrasher
6. I Speak Hate
7. Target
8. Genghis Khan
9. Burn Waco
10. Rasputin
11. Blunt Force Trauma
Blunt Force Trauma
Messosi alle spalle l'ultima publicazione dei Soulfly dal titolo Omen (Roadrunner, 2009), Max Cavalera torna sulle scene con il già noto progetto Cavalera Conspiracy, coadiuvato ancora una volta dal fratello Igor - per l'occasione "Iggor" - dietro le pelli, e dal chitarrista Marc Rizzo (già Soulfly); il ruolo di bassista è ora affidato a Johnny Chow che sostituisce il francese Joe Duplantier, impegnato con i suoi Gojira.
Nonostante l'insufficiente esordio Inflikted - che aveva, da un lato, esaltato i fan più nostalgici dei Sepultura, mentre dall'altro aveva lasciato l'amaro in bocca a gran parte della critica per via delle scontate soluzioni proposte - la strada intrapresa per questo nuovo Blunt Force Trauma non sembra aver portato a risultati molto diversi, a scapito di potenzialità che potevano essere sfruttate nella ricerca di un sound più sofisticato, o comunque meno stantio di quello dell'ultimo passo falso; l'impressione rimane comunque che, ormai, l'intento dei fratelli Cavalera sia quello accattivarsi nuovamente quei vecchi "aficionados" sentitisi traditi all'epoca della svolta stilistica di Roots.
Supportato da una produzione ancor più curata e limpida del precedente, il nuovo album mostra una serie di episodi dall'attitudine groovy in bilico tra uno speed/thrash senza compromessi (Torture, Thrasher, Target) non molto lontano da quello degli Slayer, ed un hardcore ottantiano (Lynch Mob) che, specie nei casi in cui la componente melodica è preponderante, rimanda anche agli At the Gates di Slaughter of the Soul (Killing Inside, I Speak Hate, Rasputin e la title-track) cui si aggiungono dei momenti che si avvicinano timidamente alle coordinate di Chaos A.D. (Warlord, Gengis Khan, Burn Waco).
Queste premesse sarebbero anche un punto di partenza accettabile, non fosse per il fatto che per tutta la sua durata l'album scorra assolutamente anonimo e pervaso da una monotonia, evidente figlia di un'assoluta mancanza di idee da parte di tutti e quattro i musicisti.
La chitarra di Max - la cui prova vocale appare già sottotono - raramente si discosta dal più canonico e basilare riffing del thrash metal, andando a rispolverare invece gli Exhorder di Slaughter in the Vatican nei momenti più groove, ma dando in ogni caso l'idea di qualcosa di poco incisivo e "già sentito".
Analogo è il discorso che va fatto per la sezione ritmica: Prestazione ben al disotto delle proprie qualità da parte di Iggor, il cui drumming, castrato dal formato proposto dalla band, rimane nonostante l'aggressività poco creativo, ed anch'esso ancorato alla tradizione thrash. Non pervenuto invece il basso, la cui effettiva utilità nell'economia dell'album appare quantomeno dubbia; completamente soffocato dal guitarworking, fa infatti capolino unicamente nell'introduzione di Killing Inside.
La prova solista di Marc Rizzo alla chitarra lascia altrettanti dubbi, per via di tecnicismi inutili o di soli di slayeriana memoria che rasentano, in senso negativo, il nichilismo; questi difetti diventano però accessori se considerata la struttura già poco stabile nella quale si vanno ad inserire.
Album già intrinsecamente mediocre che si va ad aggiungere al folto numero di lavori thrash/death oriented per giunta fortemente indietro coi tempi, consigliato esclusivamente agli irriducibili del duo brasiliano e ai fan irrecuperabili del genere.