- Jeff Walker - Voce, basso
- Bill Steer - Chitarra, voce
- Daniel Wilding - Batteria
1. 1985
2. Thrasher's Abbatoir
3. Cadaver Pouch Conveyor System
4. A Congealed Clot of Blood
5. The Master Butcher's Apron
6. Noncompliance to ASTM F 899-12 Standard
7. The Granulating Dark Satanic Mills
8. Unfit for Human Consumption
9. 316 L Grade Surgical Steel
10. Captive Bolt Pistol
11. Mount of Execution
Surgical Steel
Era solo questione di tempo prima che i riformati Carcass, dal 2007 alle prese con vari tour e partecipazioni a festival metal in tutta Europa, pubblicassero un nuovo full-length seguendo il trend dei ritorni in pompa magna che ha caratterizzato tutto il 2013.
Registrato da Jeff Walker (basso e voce), Bill Steer (chitarra e voce), e con Daniel Wilding dei Trigger the Bloodshed (batteria) a sostituire lo storico Ken Owen, Surgical Steel viene pubblicato dalla Nuclear Blast il 13 settembre 2013, ricevendo istantaneamente un responso critico inaspettato.
Infatti quello che, nei mesi immediatamente precedenti all'uscita, sembrava dovesse rappresentare la pietra tombale sul moniker Carcass dopo la dimenticabile chiusura della loro carriera classica a titolo Swansong (Earache, 1996), è stato invece salutato come uno dei ritorni più esaltanti e competenti che il metal abbia sfornato quest'anno.
In realtà Surgical Steel è, ancora una volta, un lavoro di mestiere, studiato praticamente a tavolino per concedere a qualsiasi fan dei Carcass un attimo di nostalgico piacere in memoria degli anni Novanta.
Per quanto l'album si riveli infatti privo di mordente, stanco e strabordante di cliché, talvolta sfiorando l'emulazione di quei complessi melodeath che gli stessi Carcass hanno contribuito a forgiare, Surgical Steel concede a chiunque - almeno superficialmente - il contentino desiderato: agli appassionati degli esordi grindcore regala sfuriate feroci a tempi disumani che, nella loro carriera, non si ascoltavano dal 1991; agli amanti del capolavoro Necroticism: Descanting the Insalubrious elargiscono soli sofisticatissimi di chitarra e un'esecuzione tecnica impeccabile; a tutti i sostenitori dello storico Heartwork dispensa melodie catchy dal sapore hard rock/heavy metal (fino a sfiorare i vertici di melodismo maideniano di Swansong, spesso e volentieri). Il tutto è quindi confezionato da una produzione laccata, pulita e cristallina, come da prassi di certo death metal melodico degli ultimi anni, che favorisce il piglio accattivante delle armonie a discapito delle atmosfere morbose e purulente che, in definitiva, rappresentavano più di ogni altra cosa la grandezza del classico sound Carcass nei primi quattro lavori, in tal modo indebolendo ulteriormente un lavoro già di per sè non esaltante.
Fin dalla piacionissima intro 1985, con boriosi lick di chitarra degni dei peggiori momenti dei peggiori guitar hero anni Ottanta, Surgical Steel sembra vivere solo di questo suo passatismo: vaga privo di direzione tra le sfuriate thrash/death di A Congealed Clot of Blood e della apertamente slayeriana The Granulating Dark Satanic Mills; tenta di riesumare il talento melodico ormai invecchiato di Heartwork su Cadaver Pouch Conveyor System e sul singolo The Master Butcher's Apron per poi sporcarlo di orpelli tecnici autoindulgenti e/o solipsisti (come nell'agghiacciante shredding su Captive Bolt Pistol), come se la base del successo di Necroticism derivasse dalla capacità tecnica del quartetto e non dagli scenari sardonicamente patologici che evocavano le partiture di Inpropagation e Corporal Jigsore Quandary.
I Carcass sono comunque mestieranti di un certo livello, e per questo buone idee, sporadiche ma comunque non rare, affiorano nel mare di mediocrità di Surgical Steel: si veda il solo di Thrasher's Abattoir, che perlomeno riesce a rievocare la grandezza del chitarrismo di Michael Amott nei classici album dei Carcass; oppure Noncompliance to ASTM F 899-12 Standard, con riffing e assolo veramente degni del lavoro su Heartwork. Ma ciò non redime un album che, specie a partire dalla seconda metà, decade nei più scontati stereotipi del death metal melodico più piacione e adolescenziale, con abissi di prevedibilità e noia in Unfit for Human Consumption e nella lunga Mount of Execution, aperto omaggio alle epiche dei Metallica anni Ottanta che, seppur non totalmente priva di idee interessanti, (a partire da certo riffing thrash nella prima sezione, a cavallo tra Mental Vortex dei Coroner e Ride the Lightning) crolla in un'architettura di tronfi fraseggi melodici, scontati groove ritmici e imbarazzante finale solistico secondo lo stile di Kirk Hammett.
Il death metal del nuovo millennio ha molto di meglio da offrire di un album che, per gran parte della sua durata, sembra soltanto un collage di foto sbiadite di un tempo lontano.