- Jani Ala-Hukkala - Voce
- Markus Myllykangas - Chitarra, Voce
- Johannes Nygård - Chitarra
- Juho Niemelä - Basso
- Ariel Björklund - Batteria
- Arto Karvonen - Tastiere
1. In Session
2. Rule The Blood
3. Covenant Colours
4. Eastern Era
5. New Canaan
6. Stasis
7. Where The Spirits Tread
8. Dead Weight
9. Drying Mouths (In A Gasping Land)
10. Providence
Providence
Dopo la pubblicazione di un capolavoro non è mai facile ripetersi, questo è un dato di fatto.
Fatto sta che i finlandesi Callisto, ormai entrati a pieno regime nell'olimpo dello sludge e del post-hardcore, ci hanno abituati forse fin troppo bene ad aspettarci la perla di turno, essendo stati in grado di reinterpretare con grande personalità un genere che, dopo lo sconvolgente exploit dei vari Isis, Neurosis, Cult Of Luna e Pelican, ha cominciato man mano a perdere colpi, protraendosi continuamente sugli stessi stilemi e mancando spesso di originalità, fatta esclusione per act come quei Minsk che nel 2007 infuocarono il panorama post metal col gioiello The Ritual Fires Of Abandonment.
Ciò che però è sicuro è che, della numerosa mole di gruppi esplosa in questi ultimi anni, i Callisto ne rappresentano, senza ombra di dubbio, la punta di diamante, essendo stati in grado di esordire con un album di tutto rispetto (True Nature Unfolds, 2004) e di proseguire con un vero e proprio capolavoro, Noir (2006), che tutt'ora rimane come una delle migliori creazioni in ambito sludge, grazie alle sue atmosfere oscure e al malinconico slancio melodico che i giovani finlandesi hanno, con grande acume, intrapreso.
A tre anni di distanza da quel gioiello i Callisto hanno però deciso di cambiare rotta, abbandonando il sound ombroso e malinconico del precedente disco e proiettandosi verso un post metal cristallino (anche grazie all'ottima attività in post-produzione) ma decisamente più inquietante e sotterraneo: Providence, non tradendo l'auspicabile rinnovamento della band, spinge infatti i Callisto verso un importante evoluzione stilistica, lontana da quelle che sono le ormai abusate tradizioni del genere e decisa nella sua costante ricerca, tanto formale quanto prettamente espressiva.
Il sound quasi "gotico" di Noir viene infatti accantonato per far spazio ad un inquietante immaginario di psichedelia, di emotività fantasmagorica e di una freddezza atmosferica a dir poco agghiacciante: le strutture ritmiche, sempre più lente, si distendono ora con dolcezza funerea, i gelidi ricami chitarristici si fanno ancora più sottili e minimalisti, ma ciò che maggiormente rimane impresso nella mente dell'ascoltatore è la voce del nuovo entrato Jani Ala-Hukkala, straniante e avvolgente nelle sue sfumature timbriche e nelle linee melodiche (le parti in growl rimangono invece affidate al chitarrista Markus Myllykangas). Ma ad elevare effettivamente lo spessore atmosferico del disco è l'impatto delle tastiere di Arto Karvonen, quasi completamente assenti in Noir ma che in Providence giocano un ruolo assolutamente fondamentale, basti ascoltare l'opener In Session che, dopo i primi minuti di soave evoluzione strumentale, esplode in un refrain devastante e dalla notevole carica atmosferica (decisamente diabolica), dovuta appunto alla positiva presenza delle tastiere, mai così intense e, in fin dei conti, ben giocate.
Se sotto il profilo stilistico e arrangiamentale Providence rappresenta quindi un esperimento raffinato e sicuramente riuscito (si senta anche il soave sax iniziale di New Canaan), a livello melodico il disco fa un passo indietro rispetto alle commoventi intuizioni di Noir che vengono qui azzerate a favore di un mood indefinibile e sicuramente meno toccante, ora più ipnotico (l'elegante Covenant Colours) ora più rabbioso (Where The Spirits Tread), capace di passare da aperture mozzafiato (Rule The Blood) a inabissamenti melodici sforzati e spesso malriusciti, come accade nei più elaborati riff di Dead Weight e nel refrain di Drying Mouths (in a Gasping Land) che, per il resto, rimane comunque un episodio abbastanza positivo.
Ciò che però maggiormente colpisce di Providence è il suo sapersi allontanare in parte dalle distorte architetture dello sludge, o meglio, di saperle poeticamente rielaborare in chiave "pulita" ma sempre con lo stesso impatto atmosferico e con la medesima forza, sfumando d'altronde un disegno compositivo che sarebbe altrimenti rimasto ancorato a discorsi musicali ormai superati. Ma anche quando i Callisto fanno ritorno su sponde più decisamente "metal", il contorno strumentale risulta spesso in grado di elaborarsi con una certa ispirazione, specie per quanto riguarda il mood quasi black che si ripercuote con crescente vigore dapprima con In Session e infine con Stasis e Where The Spirits Tread.
Potrà far storcere il naso agli amanti dello sludge più classico, ma Providence rimane un disco interessante che conferma i Callisto ai vertici del panorama post-metal odierno e che, tralasciando un'ispirazione melodica non sempre in grado di marchiare a fuoco l'ascoltatore, incarna un'affascinante, peculiare o perlomeno alternativa evoluzione di un genere di cui il sestetto finlandese rappresenta una delle più convincenti espressioni.