- Andy Dörner - voce
- Marc Görtz - chitarra
- Denis Schmidt - chitarra
- Marco Schaller - basso
- Patrick Grün - batteria
1. Intro (01:05)
2. I Rape Myself (03:24)
3. Song About Killing (03:19)
4. It's Our Burden to Bleed (03:49)
5. Nothing is Forever (03:54)
6. Together Alone (03:10)
7. My Fiction Beauty (04:41)
8. No more 2nd Chances (04:04)
9. I refuse to Keep on Living... (05:01)
10. Sick of Running Away (03:48)
11. Moment of Clarity (02:40)
12. Army of Me (03:33)
13. Room of Nowhere (03:44)
The Undying Darkness
Il panorama Metalcore mondiale nell’ultimo decennio è stato invaso da una pluralità di proposte musicali provenienti soprattutto dagli Stati Uniti, ma anche dall’Europa che affonda le sue radici in realtà più legate all’estremismo attenuato del Death Metal melodico. Gli esempi sono innumerevoli, a partire dal cambiamento subito dagli In Flames di Anders Friden che, capostipiti dello Swedish Death, si sono ritrovati ad esibire sonorità più potenti di stampo tipicamente americano (Soundtrack to Your Escape e Come Clarity) fino agli inusuali Burst, a cavallo tra Metalcore e Metal melodico.
In casa Roadrunner invece sono i Chimaira, i Killswitch Engage e appunto i tedeschi Caliban a portare avanti questo genere violento ed estremo: il giovane quintetto riunito sotto il nome di Caliban, dopo aver prodotto quattro full lenghts dal 1997, anno della loro formazione, entrano definitivamente nel 2006 in scuderia Roadrunner con il nuovo The Undying Darkness, che cerca di ripercorrere il successo riscosso dai precedenti Shadow Hearts e The Opposite from Within (prodotto anch'esso dalla Roadrunner in collaborazione con la Abacus nel 2004).
Prodotto dallo stesso Anders Friden degli In Flames e mixato da Andy Sneap, stretto collaboratore di Opeth, Arch Enemy, Nevermore e Killswitch Engage, The Undying Darkness si presenta come un lavoro intenso e impetuoso, un’opera che sa legare le influenze del Death Metal scandinavo con la tradizione del Metalcore più tecnico, Mudvayne in primis.
L’Intro non costituisce altro che l’unico sprazzo di tranquillità e calma presente nel disco: il momento magico creato dal pianoforte inquietante si rompe infatti ben presto sull’incalzare della ritmata ed energica I Rape Myself, una vera cavalcata furiosa in cui un growl penetrante, una voce rabbiosa e cori in clean si alternano rispettando i canoni del genere.
La batteria precisa e veloce accompagna incessante e cadenzata Song About Killing, malvagia nell’approccio e molto simile alle composizioni dei Deadsoil e ultimi In Flames: ciò che manca è un pizzico di originalità poiché il Metalcore proposto è sì di grande impatto, ma non va a sottolineare elementi di innovazione, restando nella scia conservatrice americana.
Tanti i cambi di tempo, seppur non portati all’esagerazione dei Mudvayne, svariate le soluzioni più moderate dove emerge la melodia del refrain, sempre gradevole e dotata di buoni temi.
Gli stacchi sono comunque pochissimi per tutta la durata dell’album ed è questo ad appesantire notevolmente la riuscita di The Undying Darkness, che potrà però colpire tutti gli amanti delle sferzate veloci e dei riff spinti a livelli Death Metal.
Punte di Thrash tecnicissimo derivate dai Nevermore permeano parte del nuovo lavoro dei Caliban, che, forse per la staticità della voce nei riff, forse per la stretta somiglianza di tutte le canzoni tra di loro, non raggiunge il culmine stilistico del capolavoro.
Rimane tuttavia un buon ritorno da parte del quintetto tedesco che ha saputo guadagnarsi ottimi consensi da parte della critica internazionale attraverso la pubblicazione di quattro album competitivi a livello di song-writing ed aggressivi nella direzione musicale. Forse sarebbe stato il momento di variare qualche parametro, inserendo aspetti inediti che avrebbero sorpreso il pubblico, ma i Caliban hanno preferito la via del mantenimento di ciò che è stato fatto in passato e il risultato è allo stesso modo tanto coinvolgente quanto folle.