Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Byelobog Productions
Anno: 
2010
Line-Up: 


- Varg Vikernes – Voce, Strumenti

Tracklist: 


i. Leukes Renkespill (Introduksjon)
ii. Belus' Død
iii. Glemselens Elv
iv. Kaimadalthas' Nedstigning
v. Sverddans
vi. Keliohesten
vii. Morgenrøde
viii. Belus' Tilbakekomst (Konklusjon)

Burzum

Belus

“Belus” è l'insperato ritorno sulle scene di una delle figure più carismatiche e controverse del Black Metal norvegese: Varg Vikernes, unico responsabile del progetto e musicalmente inattivo da oltre una dozzina d'anni, gode di uno status leggendario all'interno del genere, sia per una storia personale decisamente problematica, sia per l'essenziale contributo musicale dato ad un -allora nascente- genere: tra Gennaio 1992 e Marzo 1993 Vikernes fu l'autore di quattro LP destinati a fare letteralmente  la storia del Black Metal.

Quattro full-lenght incisi in soli quattordici mesi, e poi pubblicati nell'arco di quattro anni tra il '92 e il '96.
Nessuno, nel Black Metal, ha saputo combinare prolificità, qualità e progressione come il Burzum di quell'epoca: ognuno di quei dischi era una gemma (escludendo forse solo il debutto, ancora acerbo), ognuno cambiava le carte in tavola rispetto al precedente, aggiungendo qualche nuovo elemento e ponendo le basi per sviluppi cui il resto della scena sarebbe arrivata tempo dopo.
I tre lustri successivamente passati in galera per omicidio e incendio doloso hanno inevitabilmente messo fine alla carriera artistica del Conte: i successivi "Dauði Baldrs" (registrato nel '94/'95, uscito nel 1997), un album di qualità infima realizzato con tecnologia MIDI, e "Hliðskjálf" (registrato nel '98, pubblicato l'anno successivo), Ambient tastieristica solamente discreta, sono poco più che feticci per fanatici, dal valore musicale pressoché trascurabile.

“Belus” non ha quindi avuto difficoltà nel catalizzare le aspettative degli appassionati e dei curiosi, non facendosi mancare neppure una mini-polemica in fase di lancio: l'album doveva intitolarsi “Den Hvite Guden”, ovvero “il Dio Bianco”, poi cambiato nel (praticamente equivalente, come vedremo, ma meno immediato) “Belus” a seguito di alcune (ridicole, seppur provocate dai trascorsi politici di Vikernes) proteste sulla possibile connotazione razzista del titolo stesso.
Questo lavoro è difatti un concept-album, un racconto di Vikernes rielaborato basandosi su svariati primitivi miti religiosi più o meno pan-europei, sostanzialmente metafore sul ciclo delle stagioni – l'oscuro autunno conduce a un periodo duro e difficile, l'inverno, infine superato grazie alla riapparizione della primavera: a livello di mitologia, si narra della morte (“Belus' Død”) del Dio del Sole (o della Luce - Belus, appunto, da lì il suo appellativo di Dio 'bianco'), del suo viaggio negli Inferi (“Glemselens Elv”: il fiume dell'oblio) e del tentativo di riportarlo alla vita da parte degli altri déi (“Kaimadalthas' Nedstigning”, racconta la discesa di un altro dio, Kaimadalthas, nel regno dei morti). La lotta e il sacrificio (“Sverddans”, la danza delle spade) porta infine al trionfo della luce sull'oscurità, con il ritorno del Sole (“Belus' Tilbakekomst”) e conseguentemente della primavera (“Morgenrøde”, l' alba).

Riportato ampiamente il contorno, che spero possa permettere di inquadrare le premesse del disco anche a chi è a digiuno di folklore Burzumiano, è ora di andare al punto: la Musica.
“Belus” è un disco formato sia da brani scritti specificatamente per esso che da altri ripresi dai polverosi archivi del tempo: in generale, comunque, il disco ricorda molto “Filosofem” per quanto riguarda i timbri delle chitarre e il modo di utilizzarle nel riffing (“Glemselens Elv”) e, per certi versi, anche per la voce, che non è lancinante e acuta come sui primi album e talvolta (“Kaimadalthas' Nedstigning”) utilizza brevi interventi puliti (stile “Dunkelheit”) in alternanza allo scream.
Si gioca spesso, tuttavia, su tempi più concitati rispetto alla media di “Filosofem” e viene quindi utilizzato anche un riffing più contratto, come nel caso della già citata “Kaimadalthas' Nedstigning” o di “Keliohesten”, una cosa che riporta ai momenti centrali di “Hvis Lyset Tar Oss” e anche più indietro.

Filosofem-iana è comunque anche “Belus' Død”, un riarrangiamento in chiave Metal dell'omonima opening track di “Dauði Baldrs”, cui viene dato finalmente un senso e una veste degna. In questo brano, come negli altri del disco, riemerge una delle caratteristiche tradizionali di Burzum, nonché una delle più peculiari ed affascinanti: la ciclicità e la ripetitività del riffing, che non diventa noioso bensì crea un effetto ammaliante e magnetico, capace di imprigionare l'ascoltatore in un trasognato vortice da cui è veramente difficile uscire, se ci si presta al gioco dell'autore. Un espediente che dà il meglio di sé soprattutto nel finale dell'album, con le belle e luminose “Morgenrøde” e “Belus' Tilbakekomst (Konklusjon)”, ossessive ed ipnotiche nella loro calma regolarità che pare eterna ed indistruttibile. Questo modo di utilizzare le chitarre, inoltre, rende praticamente superfluo l'inserimento di spezzoni Ambient o di partiture di tastiera, trademark del 'vecchio' Burzum ma pressoché inesistenti in “Belus”, che fa invece della continuità il proprio punto di forza.

Atipica è invece "Sverddans", probabilmente una rielaborazione di vecchie idee risalenti all'epoca del debut-album: riffing Thrasheggiante, uptempo, durata esigua e perfino un breve assolo sono le caratteristiche di un brano che non può che riportare alla mente il Varg primordiale di brani come "War". A dirla tutta, la qualità non è esattamente la stessa, in realtà, e in ogni caso si tratta di un brano un po' fuori posto nell'economia musicale del disco, in quanto spezza la continuità e la ciclicità del riffing (virtù principe di “Belus”), di cui si parlava poco sopra. Si può condividere il suo inserimento, tuttavia, in quanto  brano 'di servizio' al concept, poichè rappresentante il momento in cui la lotta del Dio bianco giunge al culmine, raffigurazione quindi di un momento di azione e movimento, a differenza degli altri brani, più descrittivi e narrativi.

I punti deboli, sorprendentemente, sono pochi e tutto sommato perdonabili: un'introduzione completamente inutile (“Leukes Renkespill (Introduksjon)”), quel brano centrale (“Sverddans”) che, come detto, spezza un po' l'incedere del disco, qualche lungaggine di troppo nel portare avanti i brani più estesi (“Glemselens Elv” in particolare) e in generale una qualità dei riff che non regge totalmente un confronto alla pari con le opere massime del primo Vikernes (“Det Som Engang Var”, “Hvis Lyset Tar Oss”, “Filosofem”); inoltre, si lavora su spunti che il resto del mondo ha largamente saccheggiato, sviluppato e rivisitato negli ultimi quindici anni (cosa che Varg non ha potuto fare per ovvi motivi), e che quindi possono suonare 'noti' alle orecchie degli ascoltatori più assidui del genere, o perlomeno privi di quella carica che avrebbero potuto avere se fossero stati pubblicati nel 1994 o nel 1995.

Ciononostante, la valutazione è indubbiamente e ampiamente positiva, cosa assolutamente sorprendente (e su cui il sottoscritto non avrebbe scommesso un centesimo, in tutta onestà) per il Vikernes del 2010, distante diciassette anni dalla sua ultima registrazione degna di lode e reduce da quindici anni di prigione.
Il disco non è, ovviamente, al passo coi tempi, né avrebbe mai potuto esserlo: ma, in fondo, Burzum al passo coi tempi non lo è mai stato, nemmeno a inizio anni '90 quando era, in realtà, molto più “avanti” dei suoi compari. Inutile pretendere che lo sia oggi.
Oggi, Varg Vikernes suona ancora come se fossimo nel 1995, ma suona anche stranamente sincero e ammirevole nel suo essere fuori dal tempo, e soprattutto suona ancora unico, personale, inimitabile: davvero incredibile, se si pensa alla moltitudine di gruppi che da Burzum hanno preso ispirazione.
Chissà se il "Conte" riuscirà a portare avanti questa magia 'sospesa nel tempo', in futuro; per il momento, godiamoci questo buonissimo “Belus”, sorprendente raggio di sole, inatteso abbaglio primaverile, dopo quindici anni di lungo e tetro inverno. Che tutta la vicenda di Belus non sia altro che un'autobiografia?

NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente