- Kevin Sharpe - Voce
- Danny Lilker - Basso
- Rich Hoak - Batteria
- Erik Burke - Chitarra
1. Sugardaddy (02:36)
2. Turmoil (01:04)
3. Daydreamer (01:46)
4. On The Hunt (01:00)
5. Fist In Mouth (01:57)
6. Get A Therapist Spare The World (02:37)
7. War is Good (00:49)
8. Evolution Through Revolution (02:52)
9. Powder Burn (01:54)
10. Attack Dog (00:42)
11. Branded (00:06
12. Detatched (03:01)
13. Global Good Guy (01:43
14. Humpty Finance (01:55
15. Semi-Automatic Carnation (02:55)
16. Itch (02:44)
17. Afterworld (03:26)
18. Lifer (02:53)
19. Bob Dylan Wrote Propaganda Songs 01:22)
20. Grind Fidelity (03:55)
Evolution Through Revolution
Bisognerebbe veramente fare una statua a Danny Lilker per la sua attitudine e costanza. Anni spesi fra grind, thrash e hardcore a massacrare il suo quattrocorde con una violenza fuori del comune. Nuclear Assault, S.O.D., Anthrax e questi Brutal Truth sono solo pochi nomi ai quali il nostro Lemmy dell’estremo ha prestato il suo basso distorto. Il suo nome è sempre associato ad album di spicco e così accade anche per quest’ultima fatica del suo gruppo grind per eccellenza, Evolution Through Revolution. I Brutal Truth si formarono nel 1990, nel periodo in cui il death e il grind stavano unendo le loro forze per regalarci album di grande intensità. Presto fu dato alle stampe il mitico album dal titolo chilometrico Extreme Conditions Demand Extreme Responses (1992), poi seguito da altri due full-length e svariati EP, per poi non contare gli split albums.
Evolution Through Revolution segna il ritorno ufficiale sulle scene di una band troppe volte sottovalutata e addirittura temuta dalle realtà di spicco (il loro debut poteva tranquillamente sfidare le uscite del periodo più blasonate in questo genere) e ci consegna una band che non ritorna alle radici, ma va persino oltre. La furia inaudita di questa band è qualcosa che non si riesce a decifrare. È una violenza, un impatto che regredisce ai primordi del genere senza lesinare il solito tocco dissonante nelle chitarre. A dire il vero, già con il precedente album, Sounds of the Animal Kingdom, i Nostri ci avevano abituato a questo martellamento sonoro che esulava dall’approccio iniziale a base di death a cui vennero iniettate dosi di grind. Non c’è tempo per riposarsi tra queste schegge impazzite sotto forma musicale, né potrete trovarci inflessioni melodiche. Tutto qui è diretto, senza fronzoli.
La registrazione è il primo esempio di come anche questa volta i Brutal Truth abbiano voluto puntare maggiormente sulla componente grind. Il debut album, ad esempio, possedeva suoni più compatti e riffs che marcavano inflessioni death, ma qui si sta parlando di un altro stile. Quando Sugardaddy fa la sua comparsa si capisce esattamente la linea che l’album seguirà. I riffs sono letteralmente impazziti, dissonanti e pieni di stop and go. I blast beats sono il condimento per tale ricetta di pura brutalità. Le vocals anch’esse sono in costante mutazione al fin di dare la giusta intensità e tonalità a seconda delle parti, ma fatto sta che l’intensità rimane immutata per tutto il disco. A volere proprio trovare un difetto, si può affermare che la varietà non sia molto nelle corde dei nostri musicisti anche se il grind spesso e volentieri tralascia certe “raffinatezze”.
In una canzone come On The Hunt si rasenta la cacofonia e questi sono in verità i momenti in cui rimpiango maggiormente l’approccio più maturo e death metal del debut album. Tuttavia, bisogna notare la complessità nel fare combaciare quei riffs così dissonanti e schizofrenici con le strutture di batteria e in questo caso i Brutal Truth sono veramente dei maestri. Le aperture più dirette e semplici sono i momenti in cui vengo maggiormente attratto e annichilito dall’impatto strumentale e questo è anche il caso della title-track con il suo andamento a tratti marziale. Da notare come un gruppo come i Dillinger Escape Plan abbia gettato le sue spore su una Powder Burn a tratti veramente devastante. Non manca neanche l’episodio che racchiude in sé tutta la semplicità e l’impulsività del grind, in altre parole la cortissima Branded oppure il brano oscuro e zeppo di strani rumori, Itch.
Bob Dylan Wrote Propaganda Songs é una cover presa direttamente dalla versione originale dei Minutemen, mentre il basso selvaggio e distorto di Grind Fidelity annuncia la fine di questo album e stranamente lo fa attraverso tempi rallentati ed oscuri, con poche ripartenze brutali. Ad ogni modo, raramente le chitarre si fermano su partiture canoniche e prive d’influenze dissonanti poiché è questa la peculiarità di Evolution Through Revolution e da qui non si scappa. Se volete ricorrere ad una lobotomia o se desiderate che persino l’ultimo neurone del vostro cervello sia disintegrato, comprate l’album e non ve ne pentirete. Tuttavia, mi sento in dover di ribadire che il debut album mi appassionò decisamente di più e penso di parlare a nome di tutti quelli che danno più rilevanza al primo periodo della band.