Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Etichetta: 
Inside Out/Audioglobe
Anno: 
2005
Line-Up: 

- Tomas Bodin - tastiera
- Marcus Liliequist - batteria
- Jonas Reinhold - basso
- Jocke JJ Marsh - chitarra
- Anders Jansson - voce
- Pernilla Bodin - voce
- Helene Schonning - voce

Tracklist: 

1. I (23.12)
2. A (21.28)
3. M (18.43)

Tomas Bodin

I Am

I Am è il titolo del quarto full-lenght solista di Tomas Bodin, conosciuto ai più per essere il tastierista delle celebre band Prog svedese dei The Flower Kings. Tomas con I Am dimostra di avere ottime competenze e abilità compositive, in quanto l’album si differenzia dai precedenti poiché non strumentale ma vera e propria opera Prog, divisa in tre suites maestose e colossali nella presentazione e nella durata.

Esso narra la storia dell’esistenza dell’uomo sulla terra, trattando l’argomento in maniera filosofica e religiosa e proseguendo verso la reincarnazione finale: Bodin cerca di trasformare in musica i suoi pensieri più intimi e personali, congegnando così uno stile molto vicino alle produzioni di Spock’s Beard, Neal Morse e dei suoi The Flower Kings. Tomas inoltre per la stesura del disco si avvale della collaborazione di musicisti preparati e precisi quali Jonas Reinhold al basso, il nuovo batterista dei The Flower Kings Marcus Liliequist e coriste in grado di supportare le parti più sinfoniche dell’opera.

Pur essendo alquanto strano, I Am colpisce per le sezioni di tastiera, sicuramente ben ideate e strutturate, che permettono di paragonare il disco al Rock progressivo sinfonico di Arjel Lucassen; la lunghezza delle tre tracce è forse il punto debole che rende monotona la composizione e stancante il suo ascolto. Tuttavia la voce calda e acuta di Anders Jansson esprime tutto il patos della composizione di Bodin, come dimostra la mastodontica I, in cui le tastiere si rincorrono disegnando un vortice contorto e ricollegabile al Progressive anni ’70 come Yes e Emerson Lake & Palmer su tutti. Numerosi stacchi intricati nella parte centrale rammentano i virtuosismi del celebre trio inglese e buoni spunti vengono mostrati da I, ma lunghe zone di silenzio e di relativa calma fanno perdere l’impatto iniziale delle scale dirette e potenti.

Un approccio più Heavy è dato dalla seguente A, sicuramente poco incisiva nei toni di cantato e nella struttura strumentale, ma ottima nell’accompagnamento di batteria quasi Jazz e nelle aperture melodiche. Particolarmente atmosferica, la canzone si abbandona a note di pianoforte lente e dolci, che rendono pesante l’ascolto.
Alcuni influenze tipicamente Alternative arricchiscono il timbro nell’evoluzione di M, pur sempre conservando quell’alone Progressivo prodotto da organi ed effetti elettronici, vicini ai Dream Theater di Train of Thought.

Insomma Bodin ha cercato di unire molti ambiti musicali diversi, senza rendere omogenea l’opera, senza dare una struttura ben precisa alle suites, desiderando emulare grandi capolavori passati come 2112 (Rush) e Close to the Edge (Yes). Il risultato però, a differenza dei classici appena citati, è parecchio deludente, in quanto solo l’eccezionale registrazione e il marchio Inside Out hanno potuto far emergere un album che forse sarebbe caduto nel dimenticatoio in breve tempo. Il contesto lirico rendeva già il disco difficile da progettare e la scelta di impiegare tre tracce, suddivise in capitoli al loro interno, non ha facilitato la buona riuscita. Poca la continuità, nonostante Bodin abbia concentrato tutte le sue forze nel scrivere parti intrecciate e complesse, senza curare l’aspetto organico. Alla fine dell’ascolto si rammentano solamente i sorprendenti cori di I, il brano meglio costruito, che si distacca dall’inevitabile smarrimento dei seguenti.

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