- Damon Albarn - organo, synth, pianoforte, voce, melodica, campane
- Graham Coxon - synth, chitarra, tamburello, cori
- Alex James - basso
- Dave Rowntree - batteria
1. Girls & Boys
2. Tracy Jacks
3. End of a Century
4. Parklife
5. Bank Holiday
6. Badhead
7. The Debt Collector
8. Far Out
9. To the End
10. London Loves
11. Trouble in the Message Centre
12. Clover Over Dover
13. Magic America
14. Jubilee
15. This Is a Low
16. Lot 105
Parklife
Forti del successo di Modern Life Is Rubbish, i Blur (ma, per meglio dire, i loro produttori) decidono di sprofondare nel lato più pop e vintage del sound del suddetto album; nasce in questa maniera il successore Parklife (Food, 1994), disco il cui tema principale è parodiare i vizi e viziucci della medio-borghesia inglese a livello di testi (esattamente sull'ormai classico modello delle vignette satiriche dei The Kinks), e rifarsi a decine di altri gruppi inglesi delle due decadi passate per costruire chorus scanzonati e orecchiabilissimi a livello melodico.
L'album manda letteralmente in pezzi le chart inglesi, riceve una serie di premi, fa esplodere definitivamente il fenomeno del "brit-pop", e apre le porte ad un eccesso di "next big thing" che utilizzeranno più o meno le stesse idee per fare successo (tra i discepoli in linea retta si affermeranno in particolar modo Elastica, Supergrass e Mansun, ma sarebbe ingenuo non vedere delle influenze nette anche negli immediatamente successivi lavori di Oasis e Suede, e, sebbene meno evidenti, anche nei The Verve e Radiohead più orecchiabili).
Punti di forza del successo di questo disco restano senza dubbio la scanzonata e irriverente Girls & Boys (sorta di ripresa del synth-pop ballabile in chiave più disco e con un sound ammodernato, tappeto per un testo che sprizza ormoni adolescenziali da tutti i pori ed un video che impone il singer Damon Albarn come nuovo sex-symbol teenageriale), l'inglesissima filastrocca pop-rock della title-track (con Phil Daniels come guest-vocalist), la catchy End of a Century, e altri spensierati episodi minori di indubbia facile presa sul grande pubblico (Jubilee, London Loves, Clover Over Dover).
Si tratta di acquerelli che esauriscono il loro senso d'essere nel fischiettìo d'una melodia allegra, i cui effimeri humor e catchiness ne costituiscono allo stesso tempo pregi e limiti; quello di Parklife è difatti un pop-rock privo di dimensioni psicologiche o realmente emotive, e in realtà nemmeno particolarmente originale o raffinato sul piano degli arrangiamenti.
Fortunatamente il gruppo non si abbandona del tutto alla filastrocca fine a se stessa, e nell'album sono presenti anche tracce in cui il quartetto punta ad obiettivi meno immediati: l'aggressivo e breve punk-rock Bank Holiday, la fusione tra hard-rock e stilemi new-wave alla Devo di Trouble in the Message Centre, lo strumentale in 3/4 dalle influenze tzigane e jazzate Debt Collector, la malinconica ballad con arrangiamenti orchestrali To the End, la ballad quasi pastorale e in pieno stile 1960s Badhead, ma anche la power-ballad This Is a Low (unico pezzo a rappresentare le vecchie influenze shoegaze e alternative-rock).
Purtroppo i Blur commetteranno l'errore di seguire ancora una volta gli stessi binari musicali e stilistici, registrando un altro disco brit-pop ancor più mainstream (The Great Escape) l'anno successivo.