- Urban Breed - voce
- Fredrik Bergh - tastiera, basso
- Tomas Olsson - chitarra
- Oskar Belin - batteria
1. Behind The Moon
2. Into The Dark
3. Nosferatu
4. Metal Monster
5. Crucified
6. Desdemonamedia
7. Fallen From Grace
8. Screams In The Night
9. For The King
10. Midnight Sun
11. On The Battlefield
Nosferatu
Mai giudicare un album dalla copertina! Né, tantomeno, dalla retrocopertina, specie se si tratta degli svedesi Bloodbound, quintetto al suo esordio discografico e che vede, dietro il microfono, una voce conosciuta del metal scandinavo: Urban Breed, ex-singer dei Tad Morose. Non fatevi ingannare, era il consiglio all’inizio della recensione; infatti, i cinque nordeuropei si presentano, sulla back cover di Nosferatu (concept ispirato alla figura di Dracula, ma con il nome di Orlok secondo il famoso film di Murnau ed il remake di Herzog) con un feroce face-painting Black Metal. Dimenticate tutto: i Bloodbound suonano puro speed melodico che molto deve alla band d’origine di Breed, ai Nocturnal Rites, agli Hammerfall e Sonata Arctica.
Va detto subito che brani come Into The Dark, Screams In The Night e la title-track ricalcano fedelmente gli stilemi proposti negli ultimi anni (fin troppo ricalcati da quelli degli ’80 e fin troppo riproposti senza un minimo di personalità, questo va detto) dalle band neo-speed: la batteria di Oskar Belin in costante doppia cassa a tappeto, la chitarra di Olsson veloce e melodica e, un po’ di tastiere di stampo classicheggiante suonate dal bassista Bergh e la voce del già citato Breed su linee vocali molto melodiche. A difesa del quintetto svedese va detto che, sebbene molto derivativa, la loro proposta è ben suonata e vanta pure un discreto songwriting, visto che gli echi di Tad Morose e dei Nocturnal Rites di Afterlife inseriscono quella maggior fantasia ed aggressività quasi power americana in certi episodi come Desdemonamedia, il pezzo più bello di tutto il disco, dove melodia, aggressività ed un certo alone cupo tipico del metal a stelle e strisce s’incrocia con la regolare speditezza e solarità del sound europeo. La voce di Breed, inoltre, innalza notevolmente il valore dei pezzi, in quanto dotato di una flessibilità interpretativa e di cambio di timbri veramente godibile. Un disco assolutamente non memorabile, d’accordo, ma in mezzo ai diecimila platter tutti uguali e standardizzati di questo filone degli ultimi anni, i Bloodbound, quantomeno, riescono ad infilarci un po’ di personalità e realizzare un dignitoso lavoro di artigianato musicale.