- Mikael Åkerfeldt – voce
- Anders "Blakkheim" Nyström – chitarra
- Jonas Renkse – basso
- Dan Swanö – batteria
1. Ways to the Grave
2. So You Die
3. Mass Strangulation
4. Death Delirium
5. Buried by the Dead
6. The Soulcollector
7. Bathe in Blood
8. Trail of Insects
9. Like Fire
10. Cry My Name
Resurrection Through Carnage
Gli svedesi Bloodbath sono il progetto death metal nato nel 2000 dalla volontà di Jonas Renske (basso, già voce dei Katatonia), Anders Nystrom (chitarra, già nei Katatonia), Mikael Akerfeldt (voce, già negli Opeth anche come chitarrista) e Dan Swano (batteria, polistrumentista degli Edge Of Sanity). Dopo un EP che li porta all'attenzione del pubblico metal nell'ambiente svedese, i quattro rilasciano il debutto ufficiale nel 2002.
Le aspettative si dividono fra le perplessità per quello che si presenta come un progetto pensato a tavolino e l'interesse per via della formazione di altissimo livello.
Ad ogni modo l'intento del gruppo è di proporre un death metal abbastanza standardizzato e con l'intento più di divertirsi che di fare qualcosa di originale, tant'è che il debutto trasuda stereotipi "deathster" in ogni suo punto (a cominciare dai nomi e dalla copertina). Il risultato tuttavia si rivela, grazie anche all'elevata personalizzazione dello stile ed al talento dei musicisti, alquanto efficace e dotato di un songwriting massiccio e accattivante.
Significativamente uscito in un'epoca in cui molte, troppe cose venivano etichettate come death metal pur non avendo sempre molto in comune col genere, Resurrection Through Carnage offre una matrice di puro death veloce e violento, dotato di un'aura oscura e claustrofobica ma che non rinuncia a piccoli sprazzi di melodia, in ogni caso "macabrizzati" e filtrati nell'ottica brutale e angosciante dello stile del gruppo, e ad un piglio relativamente orecchiabile per via di una forma canzone più tradizionale con motivi e ritornelli lineari.
Gli svedesi combinano feeling e violenza, riff contorti e micidiali, uscite di maggiore impatto: delle mazzate veloci e aggressive che si abbinano ad una melodia inquietante e infernale. Un ritorno a stilemi più grezzi, violenti e "primitivi" per la scena metal di Stoccolma, che al contrario negli ultimi anni si era diretta, proprio e soprattutto nei gruppi principali dei quattro componenti dei Bloodbath (e nelle loro collaborazioni), verso un'evoluzione musicale sempre più ricercata e diversificata.
Ad affascinare maggiormente comunque è l'atmosfera macabra che permea l'album, soprattutto in alcune canzoni squisitamente tetre e orrorifiche. Aiuta in ciò anche l'accordatura molto ribassata per ottenere un suono ancora più cupo. Un ulteriore contributo a costruirla viene però dato dal contorno (testi, cover), atto ad esaltare l'immaginario mortuario e sanguinolento del disco, seppur come già detto da questo punto di vista si sfocia in un festival delle banalità liriche.
Insomma, un disco di "pure fuckin' death metal". L'influenza della scena floridiana (Morbid Angel in primis) e dei primi esponenti del death europeo (come Entombed, Dismember o Unleashed) viene sorprendemente personalizzata dai Bloodbath, come c'è da aspettarsi da quattro compositori esperti fra i quali in quest'occasione svettano Nystrom, con i suoi interventi chitarristici inquietanti ed atmosferici, ed Akerfeldt, con il suo growl basso e oltretombale che si scopre adatto alle sonorità dell'album (grazie anche alla produzione, nè troppo sporca nè troppo pulita, che esalta questa combinazione). Riguardo Anders, è davvero singolare che si trovi a suo agio con riff veloci e molto fisici: negli anni precedenti all'uscita di RTC con i suoi Katatonia s'era focalizzato su di uno stile più lento ed intimista, ma in terra svedese ogni musicista ha sempre diversi assi nella manica da giocare.
Ways to the Grave è un'opening claustrofobica ed orecchiabile: sembra una contraddizione, ma i Bloodbath riescono perfettamente ad inquadrare in un contesto oscuro e violento un riff principale ed un chorus ben melodici. Si tratta in ogni caso di una melodia angosciante, anche grazie alle sovraincisioni in growl di Mikael che rendono il tutto ancora più agghiacciante. Acida la distorsione "a contatore Geiger" vagamente di entombediana memoria che si avverte soprattutto nei punti più ronzanti.
So You Die è una veloce seppur relativamente leggera cavalcata death, in puro stile svedese: l'influsso dei maestri del genere è chiaramente percepibile, mentre un breve bridge melodico contribuisce a ricreare un'aura "infernale".
Mass Strangulation è il punto più allucinante e ossessivo dell'album, un insieme di riff acidi e ripetuti che straziano nel loro incedere implacabile.
Death Delirium inizia con una delle intro più evocative di sempre nel death, assolutamente macabra e atmosferica, peccato duri poco e il resto del brano sia una semplice sfuriata death incalzante che non torna su tali sonorità.
Buried by the Dead è il pezzo meno efficace del lotto, manca di impatto e di carica, il riff ripetuto è stancante e non ossessionante, mentre quelli ronzanti sono una sbiadita copia di quanto già fatto dagli Entombed oltre dieci anni prima.
Soulcollector è incentrata su di una melodia raggelante, perfetta per sostenere l'atmosfera, che fa capolino soprattutto nel ritornello fra tanti riff incalzanti.
Bathe in Blood è certamente un death canonico, ma ci sono alcuni fra i riff più micidiali dell'album e l'intermezzo è qualcosa che definire macabro viene subito spontaneo: le voci da non-morto in lontananza sono di una banalità disarmante, ma sono perfette per dare alla canzone un'aura tetra e maligna (anche se abbastanza trita).
Trail of Insects è intensa, veloce e brutale, con un finale più rabbrividente. Non aggiunte molto all'album, comunque. Like Fire è asfissiante e implacabile come una colata di magma.
Infine abbiamo Cry My Name: concettualmente la traccia più scontata e ordinaria di tutto il lotto (fioccano le banalità atte a stupire con poca originalità). La sua efficacia però sta, come al solito, nell'atmosfera che permea la canzone, densa, opprimente, mortale ed efficace nel traghettare nell'oscurità degli inferi.
La buona fattura compositiva del disco lo posiziona anni luce al di sopra di tanti cloni stanchi ed impersonali, ma in realtà è anche un lavoro intrinsecamente di maniera. Nel death metal originario certe caratteristiche erano finalizzate non a scioccare, ma ad angosciare. Qui invece parrebbe l'opposto, ma non per immaturità o altro, bensì per volontà diretta; sembra si ricerchi la "quintessenza" del death metal, prevedibile in senso buono, conformata (e conformante) su di un modello universale del genere.
C'è auto-ironia nei confronti del genere in questo, un divertissement fatto magari pensando a chi realmente abusa dei luoghi comuni credendo in essi; ma può anche essere una semplice raccolta e proposta di stereotipi vari, senza tanto interesse dei quattro svedesi a riguardo, semplicemente perché "ci stanno bene" e si voleva fare un disco di genere.
Dopo la pubblicazione dell'album i Bloodbath affrontano un cambio di line-up.