Voto: 
7.3 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Etichetta: 
A&M
Anno: 
2011
Line-Up: 

- James Blake - voce, programming

Tracklist: 

1. Unluck
2. Wilhelms Scream
3. I Never Learnt To Share
4. Lindesfarne I
5. Lindesfarne II
6. Limit To Your Love
7. Give Me My Month
8. To Care (Like You)
9. Why Don't You Call Me
10. I Mind
11. Measurements

Blake, James

James Blake

Nuova scommessa della musica indipendente britannica, James Blake è il cantautore che non ti aspetti venire fuori in un periodo come il nostro. Si legge che ha iniziato a comporre le prime canzoni nella propria stanza durante il periodo universitario; che la nota R&S Records gli ha messo gli occhi addosso ancora prima che divenisse famoso (cosa che ha invece fatto la furba A&M); poi che la sua Limit to Your Love (cover del brano della canadese Feist) ha regolarmente scalato le posizioni delle chart inglesi. Un ragazzo poco più che ventenne, un londoner, con già in mano un grosso contratto discografico e un disco (omonimo) pronto a graffiare l’anima di mezzo mondo.

Anche grazie alla piattaforma web – che, come sappiamo, permette una diffusione di materiale spaventosa in termini di pubblicità e reperibilità – James Blake ci ha messo veramente poco a diventare il nuovo fenomeno della musica pop/soul contemporanea. Ma guai a pensare che dietro questo nome ci sia un ragazzetto agiato, vuoto e venduto; Blake un bel visino da stampare su ogni strada del mondo ce l’ha, ma il suo sguardo è spento, la sua voce è spezzata, la sua idea di musica maledettamente lontana da ciò che il termine “pop” fa istintivamente balzare in testa.

Canzoni d’amore e smarrimento chiuse in una teca di vetro da cui possiamo osservarle muoversi, strisciare, sussurrare poesie frammentate: l’esordio di James Blake mischia completamente le carte del cantautorato soul comunemente inteso, filtrandolo in un ricercato limbo elettronico in cui si consuma un incrocio sottile (ma estremamente profondo) tra strutture dubstep e un afflato pop-soul che ne smussa la freddezza e la rigidità atmosferica. Gli arrangiamenti del disco sono scarni, a tratti inesistenti (il silenzio sintetico di Lindisfarne I e II, le voci solitarie della più noiosa Measurements), i sottofondi sintetici quasi sfiorano il glitch, logorati da un minimalismo intelligente seppur a tratti eccessivo. Canzoni come The Wilhelm Scream, To Care (Like You), I Mind e l’opener Unluck (migliori episodi dell’album) esprimono quest’atteggiamento compositivo mettendo evidentemente in risalto il contrasto tra il freddo distacco di un’elettronica decostruita e il calore, a tratti appena percepibile, della voce di Blake e dei suoi giochi melodici, piacevoli ma spesso prevedibili. Ad essere messa principalmente in risalto – oltre, ovvio, ai caldi vocalismi di Blake – è quindi la sua invidiabile maestria nella manipolazione sonora (il pianoforte fantasma di Why Don't You Call Me) che veste le trame del disco di forme nebbiose e impenetrabili, assolutamente al di là di qualunque semplice approccio pop/soul al materiale sonoro.

La rivelazione di quest’inizio di 2011 prende così le sembianze di un giovane a metà tra Jan Jelinek e Antony Hegarty tutto cuore, filtri, synth e sequencer. Che si tratti del futuro della musica europea è difficile da dire, di sicuro James Blake ha fatto qualcosa che nessuno prima di lui, nel suo ambito, ha mai fatto: liberare il soul dal suo abito mainstream e avvicinare il cantautorato easylistening alle più complesse (e colte) contaminazioni elettroniche. Per apprezzarlo questo dovrebbe bastare e avanzare.

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