- Marco Congoreggi - voce
- Kostas Tzortzis - chitarra
- Manolis Karazeris - chitarra
- Gus Makrikostas - basso
- Nick Papadopoulos - batteria
1. Swordbrothers (07:04)
2. Victorious Path (03:05)
3. Egyptian Doom (06:38)
4. Mourning Sword (05:10)
5. Almuric (03:49)
6. Battleroar (05:26)
7. Morituri Te Salutant (05:12)
8. Megaloman (03:39)
9. Berzerker (07:31)
Battleroar
E’ sempre successo che un genere musicale venisse ritenuto morto dagli esperti. Sempre accade, però, che qualche gruppo, a distanza di decine di anni, prenda ispirazione in modo indiscutibile da un tipo di musica che sembrava scomparso. I capolavori non hanno età e la loro immortalità può affascinare giovani musicisti anche dopo moltissimo tempo. Tutto ciò è accaduto all’Epic Metal, la cui nascita e morte si colloca comunemente nella prima parte degli anni ottanta. Verrebbe da chiedersi se tutti i gruppi, che all’epoca suonavano metallo epico, si siano sciolti o siano scomparsi. Ciò non corrisponde a realtà: infatti, una moltitudine delle band in questione ha continuato, magari alterando qualche elemento nel proprio sound, a produrre ottimi dischi. Inoltre, durante gli anni, si sono sempre formati nuovi complessi, che hanno aiutato la scena a crescere ed a mantenersi più viva che mai. Tutti questi fatti dimostrano che la morte di un genere musicale è pressoché impossibile: la musica può semplicemente essere esclusa dai circuiti commerciali ma continua a vivere ed a svilupparsi nell’ombra. Non dovrebbe risultare sorprendente, di conseguenza, l’esistenza di gruppi quali i Battleroar. Questi si formano ad Atene nel settembre del 2000. Atene, come tutti sanno, è la capitale della Grecia, da sempre considerata la patria della cultura epica. Il nome Battleroar è tratto da una canzone degli Heavy Load, a cui i cinque musicisti ellenici non hanno mai negato di ispirarsi. Nel 2001 la band produce il primo demo, ricevendo, in seguito, critiche positive dalle riviste di settore. Sull’onda dell’entusiasmo i Battleroar decidono di incidere, un anno più tardi, un singolo, che contiene due nuove versioni di tracce precedentemente presenti sul promo. Purtroppo nascono i primi problemi che costringono il singer Vagelis Krouskas ed il bassista Chris Remoundos ad abbandonare il complesso ateniese. Vengono sostituiti rispettivamente dall’italiano Marco Congoreggi alla voce e da Gus Makrikostas al basso. Con questa line up il gruppo greco entra in studio di registrazione e ne esce con un buonissimo prodotto: Battleroar.
Swordbrothers, traccia iniziale dell’album, viene aperta da alcuni effetti molto oscuri, eseguiti dalle tastiere, che a loro volta introducono un riffing molto duro e tipicamente Heavy. Le sonorità ricordano in primis i Manilla Road ma pure gli Omen e, perché no, anche i Cirith Ungol. Il brano, la cui durata si aggira intorno ai sette minuti, prosegue poi tra una strofa e l’altra fino all’assolo, che lascia un ricordo estremamente vivo nella memoria dell’ascoltatore. Gli effetti iniziali vengono ripresi ancora verso la fine del brano, chiudendolo. La seconda canzone di Battleroar si intitola Victorius Path. Nettamente più breve e diretta della song a cui subentra, essa è caratterizzata, durante alcuni passaggi, da possenti cori combattivi. Notevole anche l’interpretazione di Marco. Il singer della band, nato in Veneto, affascina con le sue linee vocali drammatiche e profonde. Egyptian Doom è chiaramente un brano più ambizioso. I cambi di ritmo fruttano un effetto del tutto ameno ed i Battleroar, in più di sei minuti, possono suonare al meglio, dando libero sfogo alle proprie idee. Molto inquietante è, senza dubbio, Mourning Sword, quarto capitolo di questo superlativo lavoro. Un atmosfera cupa ed eroica avvolge chiunque abbia il piacere di ascoltare la track. Il grandioso merito della pregevole riuscita del brano va attribuito a Nick, il quale, dietro le pelli, si sbizzarrisce in modo tecnico e composto. La canzone che segue, Almuric, è dotata di un riff assassino, reale pregio della stessa insieme alla strabiliante interpretazione canora ad opera del vocalist italiano. Il testo della composizione è ispirato dal libro, scritto nel 1939 dallo scrittore statunitense Robert E. Howard, Almuric. L’opera narra di Esaù Cairn, uomo dalla forza bruta, intelligente ma primitivo, nato in un epoca a lui avversa. L’autore del romanzo, morto suicida in Texas nel 1936, rimarrà famoso nella storia soprattutto per un personaggio da lui creato: Conan Il Barbaro.
La titletrack dell’album, Battleroar, si diversifica dalle tracce precedenti per il suo inizio quieto e pacifico. Si tratta solamente di un illusione poiché ad agitare il brano ci pensa, poco dopo, un attacco di chitarra distruttivo in coppia con il ritmo incalzante dettato dalla batteria di Nick. L’onnipresente Marco non fa che rafforzare quella che è una delle migliori interpretazioni del complesso di Atene sul proprio debutto discografico. In Morituri Te Salutant è un gladiatore il protagonista. I suoi sogni, le sue speranze, le sue paure si dissolvono al momento della lotta nell’arena, durante la quale è vitale soltanto uccidere il nemico, per poter avere la possibilità di veder nascere un altro giorno. Lo stacco centrale, che dovrebbe rappresentare la breve pace prima del duello, e l’assolo, cioè la fase più cruenta dello scontro, sono i due momenti più interessanti di tutto il pezzo. Più veloce e tirato il brano successivo, Megaloman. Le parti salienti, in questo caso, sono i tre assoli spettacolari ed il ritornello conciso, che altro non è se non la scansione del titolo. In quest’ultimo passaggio si può ammirare tutta la tecnica e la bravura strabiliante di Marco. Alla song più lunga di tutte, Berzeker, spetta il delicato compito di chiudere l’album. La scelta della band si rivela però azzeccata. Di certo il popolo greco non è celebre nella storia per le sue armate di vichinghi, ma, in questa maestosa composizione, sembra quasi che il porto di Atene fosse la meta fissa di un gran numero di potenti drakkar nordici.
I Battleroar esordiscono così in modo sorprendente, grazie ad uno stile puramente epico. Oltretutto, le liriche dei brani si adattano benissimo alla proposta musicale del gruppo attico. Questo disco non è da considerare assolutamente un capolavoro, ma fa ben sperare per il futuro e sancisce definitivamente l’entrata dei Battleroar tra le fila dei difensori dell’epicità nel terzo millennio.