- Marco Congoreggi - voce
- Kostas Tzortzis - chitarra
- Manolis Karazeris - chitarra
- Gus Makrikostas - basso
- Nick Papadopoulos - batteria
Guests:
- Mark Shelton - voce nella prima traccia
1. The Wanderer (04:03)
2. Vampire Killer (05:52)
3. Siegecraft (05:23)
4. Tower Of The Elephant (07:10)
5. Deep Buried Faith (03:56)
6. Dyvim Tvar (08:54)
7. Sword Of Crom (04:54)
8. Narsil (Reforge The Sword) (04:07)
9. Calm Before The Storm (08:50)
10. Dreams On Steel (05:04)
Age Of Chaos
A due anni di distanza dal primo ed omonimo disco, tornano a far parlare di sé i Battleroar, band proveniente dalla Grecia, ma che annovera tra le sue fila pure il veneto Marco Concoreggi in veste di singer. Nel 2003, per promuovere l’album d’esordio appena uscito, il complesso ellenico intraprende un tour a supporto dei ben più celebri Jag Panzer, durante il quale riesce a mettersi in mostra, ottenendo un discreto successo in Italia ed in Germania. Un anno più tardi i Battleroar suonano a due importanti festival europei, Keep It True e Headbangers Open Air, ed è perciò che ottengono un contratto con la Black Lotus Records. Marco e soci non perdono tempo ed entrano subito in studio per lavorare sul nuovo materiale. E’ nell’ottobre 2005 che viene così pubblicato Age Of Chaos, secondo e stupefacente lavoro dei Battleroar.
Ad aprire l’opera ci pensa una song tanto raffinata quanto singolare per questo genere di musica. The Wanderer è infatti un brano interamente acustico e ricco di pathos. Il protagonista assoluto della composizione è il vocalist, tuttavia non si tratta di Marco Concoreggi, come sembrerebbe ovvio, bensì di un certo Mark Shelton. Ebbene sì, il leader dei leggendari Manilla Road, gruppo fondamentale per la storia dell’intero Epic Metal, compare qui come ospite d’eccezione. Inutile dare un giudizio all’interpretazione di Mark, assolutamente sublime, come ormai d’abitudine. Il brano quindi, grazie specialmente alla sua voce, appare davvero introspettivo e trasuda misticismo ed un certo fascino oscuro. The Wanderer convince sotto tutti gli aspetti meno che uno. E’ a dir poco spiazzante infatti la posizione che occupa la song nella tracklist, in quanto è veramente inusuale trovare un brano del genere in qualità di opener. Si tratta comunque di un difetto tutt’altro che rilevante e si passa perciò a Vampire Killer, track numero due del platter, con la consapevolezza di essere di fronte ad un lavoro che promette indubbiamente bene. Fortunatamente Vampire Killer non tradisce le aspettative e si rivela un brano aggressivo sotto ogni punto di vista. Attenzione particolare meritano la batteria, suonata con gran classe dall’abile Nick, ed il testo fantasy, che mette in mostra una band più matura rispetto al primo album.
Si prosegue dunque con Siegecraft, song introdotta da una brevissima prefazione fatta di suoni metallici e battaglieri. Un assolo iniziale anticipa quello che sarà poi l’incedere di tutto il pezzo, ovvero un ritmo assolutamente epico ed incalzante, in grado di scuotere persino l’ascoltatore più imperturbabile. Netti miglioramenti sono stati compiuti in modo particolare da Marco Concoreggi, che riesce a raggiungere qui linee vocali soltanto sfiorate in Battleroar. L’unico neo nell’interpretazione del vocalist, presente durante quasi tutto l’arco di Age Of Chaos, è una certa monotonia nello stile canoro, praticamente sempre profondo ed intenso. Una delle poche eccezioni riguardo a ciò è rappresentata da Tower Of The Elephant, quarta traccia di Age Of Chaos. L’atmosfera del pezzo, decisamente più lento e meno diretto rispetto agli altri, è contraddistinta, a partire dal delicato preludio, da una notevole malinconia. Il testo si ispira in modo esplicito all’omonimo racconto del grande Robert Ervin Howard, autore geniale scomparso troppo presto a causa di un suicidio. Come molti già sapranno il racconto narra delle gesta di Conan, invincibile ed astuto guerriero vissuto nell’era Hyboriana, un’epoca fiorita dodicimila anni fa, dopo l’inabissamento del mitico continente di Atlantide. I Battleroar interpretano l’opera di Howard in modo divino, scrivendo così una delle loro migliori composizioni di sempre. La discreta durata di Tower Of The Elephant permette al complesso greco di spaziare da momenti irruenti, ma comunque contornati dall’atmosfera cupa caratteristica della track, a tratti senz’altro più studiati e tetri. La canzone termina infine nel modo in cui era incominciata per lasciare spazio a Deep Buried Faith, la quale riprende le sonorità di Siegecraft. Sostanzialmente la differenza fra i due brani risiede nelle chitarre, che assumono in questo caso un ruolo senza subbio fondamentale. Sono proprio i due axeman, Kostas e Manolis, che, specie grazie al riffing massiccio ed al magnifico assolo, rendono Deep Buried Faith un capitolo appetibile, anche se non all’altezza della song precedente, all’interno del platter.
La seconda parte di Age Of Chaos viene aperta da una canzone di quasi nove minuti: Dyvin Tvar. Generalmente i pezzi di lunga durata sono molto rischiosi, in quanto possono annoiare enormemente l’ascoltatore. Per fortuna non è il caso di Dyvin Tvar, che, al contrario, è tutto fuorché ripetitiva e tediosa. Il brano si evolve partendo da un esordio solenne e maestoso, a cui succedono ritmi insistenti e sonorità irrefrenabili. Marco interpreta il testo, ben sviluppato sulla base delle melodie, in modo decisamente più aggressivo del solito. Il cantante italiano alterna il suo classico timbro vocale ad uno stile prorompente e ciò accade in modo particolare durante la prima frazione di Dyvin Tvar. La seconda sezione della song è infatti maggiormente elaborata e sono le parti strumentali a giocare qui un ruolo primario. Dopo il prolungato solo di chitarra conclusivo, davvero mozzafiato, è tempo di Sword Of Crom, brano numero sette di Age Of Chaos. Tra le letture preferite dei Battleroar ci sono sicuramente le opere di Howard dal momento che, proprio come in Tower Of The Elephant, le liriche narrano di Conan e delle sue imprese. In questo caso viene omaggiata la spada di Crom, forgiata dal padre dell’eroe barbaro, il quale si serve della stessa per sconfiggere ed uccidere il temibile Thulsa-Doom. Il sound del pezzo si distacca però notevolmente dal capitolo dell’opera con cui ha in comune le tematiche trattate nei testi. Musicalmente somiglia infatti, tranne che nel riff su cui la composizione è basata, a Siegecraft e Deep Buried Faith. Nonostante ciò, il riffing iniziale, fondamentale durante tutto l’arco della song, come si è già detto, sembra fresco e si distacca abbastanza da quelli che sono gli standard dei Battleroar.
Un arpeggio acustico di chitarra apre Narsil (Refuge The Sword), che, con i suoi quattro minuti, risulta una delle track più brevi del disco. Dopo un breve passaggio cadenzato trova spazio una sezione molto confusa, costituita da un’oscura narrazione e da alcuni effetti dello stesso tipo, dopodiché inizia il brano vero e proprio. Le liriche trattano stavolta di quella che è forse l’opera letteraria più maestosa ed articolata di tutti i tempi: Il Signore Degli Anelli. Narsil è infatti l’insuperabile spada di Elendil, cui nome significa “amico dell’elfo”. Quest’ultimo è in realtà il padre di Isildur, eroico signore di Minas Ithil, il quale tagliò la mano al malvagio Sauron, ma che poi rimase ucciso in un’imboscata facendo così cadere l’anello in un torrente, proprio come ritratto nella nota scena del film. Narsil, dopo essere andata in pezzi alla morte di Elendil, fu riforgiata per Aragorn con il nome di Andúril ed è proprio di questo specifico episodio che parla la canzone. Dopo un pezzo convincente, pur non essendo ai livelli dei precedenti, ne arriva uno davvero vario e ben congegnato: Calm Before The Storm. Come accaduto con Dyvin Tvar, con la quale il pezzo ha in comune anche la prolungata durata, i Battleroar mettono in mostra tutta la loro capacità compositiva e tecnica. La track si snoda attraverso riff affilati uniti ad andature sostenute, a cui subentrano poi accelerazioni furiose e momenti di calma solo apparente. Gli assoli presenti in Calm Before The Storm meritano un ascolto accurato e confermano la destrezza dei due chitarristi, i quali si ritagliano, nuovamente, un largo spazio all’interno della song. A chiudere Age Of Chaos ci pensa Dreams On Steel, seconda, toccante, composizione acustica del platter. In questo caso non c’è purtroppo Mark Shelton ad incantare con la sua voce, ma un Marco Concorreggi davvero sorprendente. La sua prova dietro al microfono appare veramente stupefacente, in quanto mai si era ascoltato niente di così soave ed armonioso da parte sua. L’atmosfera mistica di The Wanderer è quasi del tutto assente in Dreams On Steel, la quale, non mancando comunque di tensione emotiva, esprime più che altro una tetra aria tetra di malinconia. La traccia finale fa quindi ben sperare per il futuro e saluta l’ascoltatore in modo assolutamente eccelso.
Esistono sostanzialmente due categorie di album: la prima presenta lavori che vantano qualche hit, ma che contengono altresì pezzi scadenti, soltanto complementari; la seconda offre invece dischi compatti, convincenti dal primo all’ultimo minuto, ma che hanno il solo difetto di non contenere canzoni memorabili al loro interno. L’opera del complesso greco fa indiscutibilmente parte della seconda tipologia nominata, con tutti i suoi limiti ed i suoi pregi. I Battleroar dunque stupiscono ancora una volta, riuscendo addirittura a migliore l’ottimo esordio discografico. Dopo due buonissimi album che sia la volta del capolavoro definitivo? Si vedrà. Per il momento questo Age Of Chaos basta ed avanza.