- Quorthon – Voce, Chitarra, Basso, Sintetizzatore
- Paul ‘Pålle’ Lundberg – Batteria
- Christer ‘Crille’ Sandström – Basso
01. Nocturnal Obeisance (intro)
02. Massacre
03. Woman of Dark Desires
04. Call from the Grave
05. Equimanthorn
06. Enter the Eternal Fire
07. Chariots of Fire
08. 13 Candles
09. Of Doom
10. (outro)
Under the Sign of the Black Mark
“...Leave the world of mortals to walk into the mist, to stalk unto the other side...”
“Under the Sign of the Black Mark” è una registrazione dall’importanza clamorosa all’interno dell’ambiente musicale estremo scandinavo, tanto che la sua superba bellezza viene talvolta ingiustamente posta in secondo piano, poiché sovrastata dall’immensa portata storica delle sue visioni; questo lavoro, infatti, non è solo l’album che più di qualsiasi altro influenzerà il movimento Black del Nord Europa, ma anche l’apogeo artistico che conclude e perfeziona la prima, estrema e violenta epoca della carriera dei Bathory.
Definitivamente lontano dalle influenze Motörhead-iane del debutto (disco che fu, nell’84, l’erede più credibile dello stile musicale generato dai primi dischi dei Venom), e straordinariamente maturato a livello di songwriting rispetto al fortunato “The Return of Darkness and Evil” (album che poneva, nell’85, i Bathory al comando dell’allegra brigata formata dai gruppi più estremi di quegli anni, insieme a leggende quali Sodom, Hellhammer, Slayer...), il Quorthon di “Under the Sign...” raffina il suo demoniaco stile originario, donando una forma definitiva al brodo primordiale dei primi due dischi e creando dieci schegge che possono a tutti gli effetti essere etichettate come Black Metal.
A differenza di quanto era accaduto per “The Return...”, per questo terzo disco Quorthon tornò a registrare (nel settembre 1986, dopo innumerevoli ritardi causati dalla problematica ricerca di un bassista: il panorama Metal estremo svedese, tanto fertile nella decade successiva, all’epoca di questo disco nemmeno esisteva, tanto che Quorthon arrivò a cercare collaboratori in Germania, Danimarca e perfino Stati Uniti...) ai celeberrimi ‘Heavenshore Studios’, accompagnato dal batterista Paul Lundberg e da Christer Sandström (che finirà per suonare solo su un paio di brani, nei restanti sarà lo stesso Quorthon a improvvisarsi bassista): risultato di quelle sessions furono brani dai suoni estremamente cacofonici, nebulosi, oscuri e sfocati, estremizzati da una velocissima batteria straordinariamente alta nel mix finale (“Massacre”), e da rugginose e ruggenti chitarre (il cui noto effetto ‘zanzaroso’, tanto in voga fra i gruppi norvegesi degli anni ’90, è presente qui in una delle sue prime apparizioni), caratterizzate da un riffing dalla ferocia impressionante e capaci di impetuose evoluzioni solistiche, coniuganti la ruvida linearità del Thrash più grezzo con le tenebrose e solenni melodie del Black (nel solo di “Call from the Grave”, si arriva a ‘citare’ le armonie classiche di Chopin); la voce di Quorthon è uno screaming micidiale ed incalzante, capace di arrivare a velocità vertiginose (“Chariots of Fire”, “Equimanthorn”) e di dipingere atmosfere perverse (“Woman of Dark Desires”, dedicata alla contessa da cui il gruppo prende il nome) e claustrofobiche (ancora “Call from the Grave”, uno dei brani più riusciti del repertorio Bathory) con una veemente aggressività che sarà d’ispirazione per gran parte delle Black Metal bands future.
“Under the Sign of the Black Mark”, però, non si limitò ad apportare miglioramenti allo stile introdotto pochi anni prima, ma segnò anche il momento in cui il gruppo iniziò a osare contaminazioni con suoni e liriche che precedentemente erano estranei all’ottica Bathoriana: “Equimanthorn”, aperta da un riff che fa il verso alla colonna sonora de “Lo Squalo”, flirta con inediti temi epici, pagani e mitologici (c’è più di un’influenza targata Manowar, in questo caso) pur rimanendo musicalmente legata al più ortodosso Black Metal; al contrario, il classico “Enter the Eternal Fire” è un brano che liricamente si attiene ai ‘tradizionali’ argomenti satanici, mentre la sua musica è un originale, innovativo esempio di Epic Black Metal, dotato di riffing evocativo e maestoso, batteria cadenzata e rintocchi di campane.
Oltre a dare una definizione classica e definitiva al Black Metal degli eighties, in tracce come l’indiavolata “Massacre” (che, fedele al suo titolo, è un rapidissimo e furioso resoconto della battaglia di Little Big Horn), “Chariots of Fire” (il tema, qui, è la guerra nucleare, per due minuti e mezzo di pura devastazione) e “Of Doom” (un accorato gesto di devozione di Quorthon verso i suoi fans), i Bathory di “Under the Sign...” gettano nella mischia anche numerose intuizioni anomale, che saranno successivamente raccolte e rielaborate dai loro epigoni novantiani: “Woman of Dark Desires” introduce un accompagnamento di synth nel momento più sostenuto della canzone, durante un break inquietante che fa da preludio al furibondo assolo; “13 Candles”, invece, ha il supporto di ancestrali, sommessi e misteriosi cori in voce pulita, che contribuiscono alla creazione dell’atmosfera rituale e sacrale che contraddistingue questa traccia.
Fondamentale per la genesi del Black Metal svedese e norvegese degli anni ’90, “Under the Sign of the Black Mark” (la cui copertina nacque da una delle più rocambolesche photo-sessions della storia del Metal) è un disco ricolmo di canzoni divenute veri classici, dalla genuinità stupefacente e dalle atmosfere crudeli e macabre; oltre ad essere il sunto di un lustro di vagabondaggio attraverso i suoni più estremi dell’epoca, questo terzo capitolo dei Bathory contiene anche i semi che genereranno l’evoluzione epico-nordica dei dischi successivi: piaccia o meno, per scoprire com’è nato il Black Metal, ma soprattutto per capire i Bathory, non si può prescindere dall’ascolto di “Under the Sign of the Black Mark”.
“...Hold high our banner black, the three flames in red
Brothers and sisters
Hail now the sign of the black mark and of doom...”