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- Michele Vicentini - chitarra, voce
- Jacopo Broseghini - basso, shouts
- Federico Sassudelli - batteria, voce
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1. Se t'annoi
2. Mi par che per adesso
3. Nothing to talk about
4. Una canzone probabilmente inutile
5. Io non comprò più speranza
6. War is over (Children of the grapes)
7. Senza colore
8. Dal risveglio in poi
9. Versa la mia testa
10. Typical Pinè night
11. Ease my pain
In Stasi Perpetua
Metti una sera a cena, o più semplicemente in televisione, 3 brillanti ragazzi trentini che, fra un'esibizione entusiasmante e una battuta più scherzosa, dichiarano esplicitamente di ispirarsi ai Ramones e ai Clash: fra Morgan che si dilunga ad esaltarne l'innata punk attitude e Mara Maionchi che si dimena incapace di pronunciarne il nome, i The Bastard Sons Of Dioniso quasi dominano la seconda edizione di X-Factor, reality show musicale importato direttamente dall'Inghilterra a seguito del clamoroso successo di vendite della vincitrice britannica Leona Lewis. La vittoria non arriva ma l'obiettivo principale per tutti i prodotti della musica televisiva è uno soltanto, ossia il responso del pubblico in termini di vendite discografiche: Alessandra Amoroso e Valerio Scanu, reduci dalla trionfale esperienza di Amici sulla rete ammiraglia Mediaset, si issano immediatamente ai primissimi posti delle classifiche italiane, seguiti a ruota da Noemi, interessante vocalità dalle tinte blues, purtroppo precocemente eliminata dal programma di punta della seconda rete di mamma Rai; buoni anche i risultati di Matteo Becucci, il vincitore della seconda edizione, sebbene nettamente inferiori a colei che non è arrivata nemmeno in semifinale. Che fine hanno fatto, invece, i The Bastard Sons Of Dioniso?
Un flop. Esito piuttosto prevedibile e certamente incoraggiante, perché In Stasi Perpetua è tutt'altro che un prodotto esclusivamente commerciale e palesemente ruffiano: si tratta infatti di una miscela al contempo ficcante e sorprendente di pop punk (la deludente War is over, Dal risveglio in poi, Typical Pine' night) e pop rock (Se t'annoi, Mi par che per adesso, Una canzone probabilmente inutile, Versa la mia testa), con spensierate atmosfere garage (Nothing to talk about, la conclusiva Ease My Pain) e qualche inserto linguistico medievaleggiante (l'amara Io non compro più speranza, ispirata ad una frottola di Franciscus Bossinensis risalente addirittura al XVI secolo), che già sembra identificarsi come loro marchio di fabbrica, senza dimenticare una vena cantautoriale tipicamente nostrana à la Samuele Bersani (Senza colore). Va detto che, se certo non può definirsi capolavoro, senz'altro non si può negare che si tratti di un debutto più che soddisfacente, dal momento che la formazione originaria della Valsugana si dimostra perfettamente consapevole dei propri mezzi, manifesta chiarezza di idee e di intenti e soprattutto uno stile tutto sommato personale e riconoscibile, di certo in nulla assoggettato alle squallide logiche di vendita che solitamente si impongono ai più recenti prodotti delle fabbriche televisive. Forse è proprio questo l'aspetto più interessante e meritevole di attenzione: i The Bastard Sons Of Dioniso non sono semplicemente degli interpreti che, non sapendo né leggere né scrivere (musica), possono essere manipolati a proprio uso e consumo da case discografiche assetate di denaro liquido, attraverso canzoni più o meno appetibili da un pubblico sostanzialmente assuefatto a certi standard neomelodici; al contrario, è evidente come la loro natura di strumentisti, più che di semplici vocalist, si sia imposta in maniera preponderante, trovando il giusto compromesso fra linee più accattivanti e leggere e momenti più grezzi e brucianti. I mediocri risultati discografici, soprattutto in confronto a quelli ottenuti dagli altri "artisti" che hanno affrontato la medesima formazione televisiva, sono forse la prova provata di come In Stasi Perpetua non sia poi un lavoro così prevedibile, scontato e facilmente assimilabile, o, quantomeno, di come il suo target fosse sostanzialmente rivolto ad un pubblico musicalmente più preparato e attento a certe sonorità.
I The Bastard Sons Of Dioniso non avranno certamente la pretesa di ergersi a nuovi paladini del pop punk made in Italy, pur tuttavia va riconosciuto loro di aver introdotto uno stile solitamente confinato ai margini della distribuzione musicale italiana attraverso inediti canali di grande visibilità e, soprattutto, di aver sfornato un album divertente e sempre piacevole, che, nelle sue intenzioni, non è per nulla inferiore a prodotti stranieri la cui modesta caratura è solamente ingigantita da una dilagante esterofilia. Checché se ne dica, Valsugana rulez.