Voto: 
8.2 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
2062
Anno: 
2003
Line-Up: 

- William Basinski - Tutte le musiche, Programming

Tracklist: 

1. Unnamed 1
2. Unnamed 2
3. Unnamed 3
4. Unnamed 4
5. Unnamed 5
6. Unnamed 6
7. Unnamed 7
8. Unnamed 8
9. Unnamed 9
10. Unnamed 10
11. Unnamed 11
12. Unnamed 12
13. Unnamed 13
14. Unnamed 14

William Basinski

Melancholia

La struggente potenza evocativa del silenzio e della sua inquieta pacatezza. Il cupo candore di suoni abbandonati e in rovina che emettono il loro ultimo sussulto come un addio al mondo. Pura poesia del suono.
Dietro questo dramma della natura che scompare e dell'uomo che al suo interno si crogiola, William Basinski ha disegnato la sua musica, ha delineato l'essenza dell'ambient post-moderno, sconvolgendo semplicemente le fondamenta e gli stilemi di uno dei generi concettualmente più vasti che la musica attuale conosca. Dalle tinte elettroniche a quelle naturalistiche, passando per le sue espressioni più industriali, l'ambient nasconde al suo interno una miriade di nuclei tra di loro simili ma pur sempre contrastanti, ed è proprio in questa corrente di suoni spaziali e infiniti che Basinski si è gettato, ad occhi chiusi e con quella sua espressione schiva ma estremamente calma.
Una discesa nella purezza del suono quella del compositore statunitense, ma non solo, perchè questo inabissamento sonoro maschera poeticamente la vicenda dell'uomo moderno e il suo dramma esistenziale. Nei Disintegration Loops, ovvero l'opera che al meglio combacia con il suo stile e con le sue visioni avanguardiste, Basinski aveva messo perfettamente a fuoco questa tragica pantomima interiore, evocando dietro i suoi suoni la dissoluzione e il lento svanire della società occidentale.

Ma è solo con Melancholia che questa quasi soave apocalisse prende vita nelle sue forme più commoventi: l'opera, ragionevolmente vista come indiscutibile vertice emotivo nella produzione dell'artista, si scaglia infatti nella mente di ogni ascoltatore con la poesia e la tensione evocativa di una musica eterea ma allo stesso tempo profana, una musica che sembra provenire da uno spazio inesistente e che piomba sui nostri corpi lentamente, poco alla volta, prolungando a dismisura il suo canto straziante. La dimensione sfocata e impercepibile che s'innalza durante l'ascolto di Melancholia è come una gigantesca onda trasparente che avanza verso di noi con inesorabile lentezza: è per questo inevitabile avvicinarsi soltanto se la nostra anima è volontariamente aperta e pronta a farsi risucchiare, perchè senza un necessario presupposto mentale tramite cui porsi, Melancholia risulterebbe semplicemente come un lavoro noioso e sgradevole.
L'ascolto del disco necessita perciò del grande contributo di chi ascolta, in quanto una musica così "concettuale" non può esprimere tutta la forza atmosferica nella sua completezza senza che si compia questa sorta di fusione cerebrale e sensoriale tra il suono e il suo destinatario.
L'anima più profonda di Melancholia è intrisa di silenzio (che nel disco assume un ruolo a dir poco fondamentale), inquietudine e di un minimalismo che non solo si ritrova nella scarna copertina e nei titoli delle canzoni, ovvero Unnamed dall'1 al 14, ma anche e soprattutto nella concezione delle cellule melodiche e atmosferiche di ogni singolo frammento: il suono non ha mai una funzione discorsiva ben determinata e si disperde man mano che altri suoni prendono forma, gettando sulla tela della nostra fantasia una penetrante astrazione tra il metafisico e la desolazione metropolitana.

Soffusa e avvolgente la prima Unnamed (il cui tema viene poi ripreso nella nona traccia) si presenta come un gelido abbraccio tra le leggere note di pianoforte e gli effetti elettronici di sottofondo che, con i loro acuti richiami, vanno a creare una sorta di natura perduta filtrata attraverso la sofferente interiorità della civiltà moderna. Il ritratto messo in mostra da Basinski è decadente e abbandonato (dimensione genialmente trasmessa dalle Unnamed 5 e 10) e i tappeti sonori del suo ambient così atmosferico ma allo stesso tempo contenuto si dipanano in progressivi minimalismi saturi di tensione emotiva: l'artista newyorchese rifiuta infatti le più classiche e interminabili dilatazioni sonore tanto care all'ambient "naturalistico", spingendo il suo stile compositivo verso una non-forma invariabile e incontrollata, per così dire "lasciata andare da sola", all'interno della quale ogni tipo di riferimento viene offuscato, aumentando vertiginosamente quel senso di desolazione e di inquietudine di cui l'album è permeato, in particolar modo nella strepitosa atmosfera (e qui comincia a sentirsi l'insegnamento del santissimo Angelo Badalamenti) di Unnamed 7. Ma anche quando l'essenza più cupa e sotterranea di Melancholia accenna ad un timido addio, ovvero quando fanno ingresso i puliti respiri melodici decisamente più aperti e solari dell'Unnamed 13, l'alienazione e il disagio, la tristezza e la solitudine si ripresentano lievemente attraverso i commoventi rintocchi dell'ultima traccia, Unnamed 14 (ripresa del tema dell'Unnamed 2), che chiude alle sue spalle un sipario rimasto tristemente aperto per l'intera durata dell'album.

Minimalismo e tristezza, cupezza e solitudine: William Basinski ha reinventato il modo di comporre l'ambient music filtrando tutto questo al suo interno, percependo la struttura sonora non più come un flusso continuo e dal retrogusto leggermente sinfonico, bensì come un canto, spesso stonato e opaco, che non segue nessun andamento prestabilito e che non si perde in inutili voli pindarici per condurre l'ascoltatore verso l'apice atmosferico della musica.
Basta chiudere gli occhi, donarsi all'inconscio e far come se tra le lente e tristi note di Melancholia si trovasse il nostro spirito, per cogliere e afferrare la poesia che vi è nascosta e che può esprimersi in tutto il suo splendore solo e soltanto se noi lo vogliamo, se lo desideriamo, se lo aneliamo come se in quei versi scritti nella nebbia ci fosse la verità del mondo.
Tutto il resto non importa, verrà da solo.
 

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