- Joey Cape – voce, chitarra
- Thom Flowers – chitarra
- Marko De Santis – basso
- Derrick Plourde (scomparso il 30 marzo 2005) – batteria
- Augus Cooke – chitarra, violoncello, voce
- Todd Capps – pianoforte, tastiere
- Jonathan Cox – sintetizzatore
1. Goodmorning Night (03:53)
2. Ghostwrite (03:56)
3. Beat (05:31)
4. Stillwater, California (04:01)
5. One Giant Disappointment (02:59)
6. Minus (03:08)
7. Best Western (03:56)
8. San Francisco Serenade (04:33)
9. Autocare (04:01)
10. Violet (01:59)
11. Go Humans (01:49)
12. The “F” Word (08:02)
13. The Thirteenth Step (02:19)
Twelve Small Steps, One Giant Disappoint
La storia dei Bad Astronaut e del loro ultimo full-length è segnata in maniera indelebile dalla scomparsa, avvenuta nel marzo del 2005, del batterista della band Derrick Plourde. Un vero e proprio fulmine a ciel sereno, il suo suicidio lasciò attoniti un po’ tutti: dalla famiglia agli amici di sempre, per finire con la schiera di ammiratori.
Omaggio sentito, Twelve Small Steps, One Giant Disappointment è un’opera struggente, densa di significato, contornata dal velo di tristezza di chi sa di aver perso un punto di riferimento importante in questa vita.
Questo full-lenght non avrebbe nemmeno dovuto affacciarsi sul mercato, dopo la tragica scomparsa di Plourde. Almeno questa era l’intenzione manifestata da Joey Cape, voce e fondatore della band, dopo il colpo di pistola che spezzò la vita del batterista. Dev’essersi convinto col tempo, a completare un lavoro lasciato a metà. Ecco dunque che la sezione ritmica definitiva si compone in parte delle basi registrate da Plourde, quindi implementate dalla mano di Jonathan Gorman.
Ne esce un lavoro emozionante, in cui la brillantezza dei Bad Astronaut (side project, per chi non lo sapesse, nata nel 2000 grazie appunto a Joey Cape, già voce dei Lagwagon) si fonde con l’atmosfera di disperazione in cui un po’ tutti gli affezionati sono piombati dopo la morte prematura di Plourde. Twelve Small Steps, One Giant Disappointment assume i connotati di un album costruito a immagine e somiglianza del batterista, completato e limato nel nome del suo ricordo, come ha affermato lo stesso cantante anche in uno sconsolato messaggio apparso qualche tempo fa nel My Space della band.
Good Morning Night e Ghostwrite mettono in luce fin dal principio quella che è la peculiarità di questa band. E’ la fantasia nel miscelare suoni provenienti da diverse correnti musicali a renderli brillanti ed innovativi: le chitarre in stile Punk/Rock si fondono a meraviglia con la sezione acustica; la ritmica è assoluta protagonista con repentini cambi di tempo, intrecciata al sapiente utilizzo di archi ed inserti di sintetizzatore. E’ One Giant Disappointment a cogliere nel segno, in questo senso. Prima di Minus, che rappresenta senz’altro il punto in cui l’emotività di questo album raggiunge un punto di grande elevazione. La chitarra acustica fa da sfondo, con gli archi che entrano quasi in sordina a fare da tappeto sonoro alla voce di Cape, la quale si erge ad icona nel disco e più in generale nel panorama musicale attuale.Best Western è l’altro punto forte, caratterizzata dall’incalzante atmosfera dettata dalle distorsioni delle chitarre e dalla perfetta congiunzione tra ritmica e melodia. Oltre, naturalmente, al grande lavoro svolto dal bassista Marko De Santis, già membro della formazione Pop/Punk Sugarcult. Lo suggerisce il titolo stesso: questa traccia potrebbe fare da colonna sonora ad uno dei più famosi film western d’altri tempi.
C’è ancora tempo per l’altra ballata San Francisco Serenade, per Autocare e per le fuggevoli Violet e Go Humans, le quali fanno da anticipo a The “F” Word. La cui atmosfera, a nostro modo di vedere, rappresenta forse il più bel quadro che questi Bad Astronaut potessero realizzare.
La canzone inizia con toni soffusi, che nella parte centrale lasciano spazio ad un andamento che ricorda a tratti i The New Amsterdams per la soffusa presenza del pianoforte e per la delicata sezione ritmica. La musica, nel vero senso della parola, cambia quando di fatto si esaurisce la lirica di Cape. Entrano in gioco nuove sonorità, che conducono il pezzo alla parte finale, fatta di autentiche scariche di chitarra distorta e caratterizzata da un impianto scenico di grande impatto.
E’ il pezzo più emotivo, struggente e che meglio rende l’idea che i Bad Astronaut, senza l’amico Derrick, hanno voluto dare con questo disco.
L’ultima pagina è The Thirteenth Step, ma la mente di chi ascolta è già proiettata verso la traccia d’apertura. Perché questo Twelve Small Steps, One Giant Disappointment va ascoltato e riascoltato ancora. Per coglierne l’essenza, per riflettere sul significato delle profonde parole scritte e cantate da Cape. Per ricordare Derrick Plourde, anche se non lo si è mai conosciuto. Quasi a voler partecipare, in un certo senso, al messaggio d’addio che i Bad Astronaut hanno voluto scrivere in questi tredici brani per congedarsi dalla scena. L’hanno fatto con eleganza e raffinatezza, ecco tutto.