- Tobias Isaksson
Rule of Thirds
Qualcuno senz'altro si ricorda gli svedesi Irene della Labrador Records, quelli che hanno definito fantastici germogli estivi in canzoni come 'Stardust', 'September Skies' o ancora 'Little Things (that tear us apart)'. Rilasciarono due album sull'etichetta svedese nel 2006 e 2007 e registrarono un terzo album che alla fine non vide mai la luce. Ecco, qualcuno probabilmente si è chiesto che fine avessero fatto, se si fossero sciolti o avessero preso un periodo di pausa. Be' il gruppo è tutt'ora esistente, ma tutti i membri hanno preso parte a progetti alternativi (Ljungs, Leopold) e molto probabilmente non sarà così facile vederli di nuovo insieme. Il cantante, Tobias Isaksson (che ha anche fatto parte di un'altra band targata Labrador, i Laurel Music) è tornato però quest'anno sulla scena indipendente in un progetto solista chiamato Azure Blue, in cui sperimenta sonorità tanto dedite alla popolazione scandinava (l'utilizzo di ritmi sincopi su tappeti sintetici è ormai peculiare) quanto a lui fin'ora poco consone, in un risultato che non ti aspetteresti.
Se Laurel Music era il suono di un primo amore perduto e Irene il sogno impossibile di un'estate infinita di amore, Azure Blue è la notte del giorno dopo, quella dei ricordi. E' la sintesi e la riflessione del futuro in una volta. Rilasciato sulla Hybris e sulla californiana Matinee Records, Rule of Thirds è un disco sfaccettato e probabilmente un'importante punto di incontro tra un'immediato indiepop cantautoriale e un'elettronica effettata da microdettagli tra scie colorate e drum machine. Otto piccole gemme (nove se contiamo anche Fingers, fantastica cover d'apertura del genio Grant McLennan, co-fondatore degli australiani The Go-Betweens) che delineano un caldo tramonto all'orizzonte in qualche glaciale mare antartico. Ed è fra questi tintinnii di ghiaccio che si palesa il singolo The Catcher in the Rye, una profusione di drum machine effetta e adagiata su un morbido strato di synth, una nave che ci accompagnerà per tutta la durata del disco, una nave controllata magistralmente da Tobias, una nave mai invasiva, mai agitata, una nave tenuta sempre sulla stessa rotta, una nave rompighiaccio. Sì perché seppur l'atmosfera possa sembrare fredda e malinconica ad un primo distratto ascolto, al contrario, invece, il synth si dimostra caldo ed avvolgente, come in Seasons, nostalgico pezzo di riflessi luccicosi o Little Confusion in cui le chitarre scampanellanti nuotano fra ritmi sghembi di drum. Acqua cristallina Long Way Down, un inno verso sogni lontani, tra diffusioni corali che talvolta sfociano in rimandi alla chillout o al lounge. La morbida voce di Isaksson inoltre si dimostra ottima per intraprendere questo viaggio, sicura e rodata non pecca mai né quando viene messa più flebile in secondo piano per risaltare la liquidità dei beat, prendete ad esempio Two Heart, né quando è lei che conduce la rotta, come in Dreamy Eyes.