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- Alex Varkatzas - lead vocals, lyrics
- Dan Jacobs - lead and rhythm guitars
- Travis Miguel - rhythm and lead guitars
- Marc McKnight - bass guitar, backing vocals
- Brandon Saller - drums, vocals, percussion
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01. Stop! Before It's Too Late And We've Destroyed It All
02. Bleeding Is A Luxury
03. Congregation Of The Damned
04. Coffin Nails
05. Black Days Begin
06. Gallows
07. Storm To Pass
08. You Were The King, Now You're Unconscious
09. Insatiable
10. So Wrong
11. Ravenous
12. Lonely
13. Wait For You
Congregation Of The Damned
La carriera discografica degli Atreyu è forse in assoluto una delle più folli e difficilmente interpretabili della moderna scena metal internazionale: un andamento incostante, contrassegnato dai trionfali esordi, da tappe di dubbia qualità artistica, da passaggi a vuoto a dir poco clamorosi e persino inconcepibili (l'indecoroso Best Of del 2002). L'ultimo lavoro, risalente ormai al lontano 2007, li aveva lasciati in balia della loro natura fondamentalmente multiforme, in preda ad una tensione creativa pressoché svincolata dalle loro feroci origini metalcore e già protesa verso una dimensione più propriamente rock e decisamente meno metal: proprio per queste ragioni il più che discreto Lead Sails Paper Anchor aveva subito le accuse più ingiuste, sia da parte di una critica fortemente pregiudizievole (non sulle nostre pagine), sia da parte dei fans, che li additavano vilmente in quanto rei, a loro dire, di essersi letteralmente svenduti alle regole del mercato, alle logiche del mainstream. Veri o no che fossero questi violenti stralci, è chiaro però che soltanto il successore di questo discusso lavoro avrebbe potuto realmente sistemare la situazione, evidenziando così la via intrapresa dalla formazione di Orange County: si trattava essenzialmente di una scelta radicale, se cioè riproporre il metalcore virulento delle origini, facendo così un evidente passo indietro rispetto alla più fresca pubblicazione, o proseguire nella direzione indicata da quest'ultima, abbandonando una volta per tutte i più rigidi confini core ed entrando nella terra di nessuno che alcuni chiamano post-hardcore, altri emocore, altri ancora semplicemente musica.
Congregation Of The Damned, uscito appena 2 mesi or sono per Roadrunner Records, sancisce esattamente ciò che avremmo dovuto aspettarci, ciò che era nell'ordine delle cose e che, pur suscitando infinite polemiche, merita un plauso sincero, in nome della coerenza umana innanzitutto, del risultato artistico in secondo luogo: gli Atreyu possono infatti vantarsi di aver messo a segno il miglior album emocore dell'anno, sfornando una prestazione eccellente sotto ogni aspetto, restituendo dignità ad un genere spesso confuso e ingiustamente sbeffeggiato. Dotati di una tecnica strumentale egregia e mai fine a sé stessa, che in quest'ultimo lavoro si manifesta in un riffing sempre ispirato e in brucianti assoli d'ascia, nonché di un vocalist dal timbro caratteristico e di grande presenza interpretativa come Alex Varkatzas, lontano anni luce da quegli striduli ruggiti adolescenziali che troppo spesso insozzano le più interessanti proposte musicali, gli Atreyu sono finalmente riusciti a trovare la quadratura del cerchio: Congregation Of The Damned è, infatti, una collezione pressoché inesauribile di hits di assoluta pregevolezza, spudoratamente catchy e smaccatamente patinate, nella cui semplicità, mimetica e ruffiana allo stesso tempo, risiede tutta la loro efficacia melodica ed emotiva.
Quanti avranno potuto storcere il naso alle precedenti lungaggini, è bene che si tengano alla larga tanto da questo disco quanto, nella maniera più generale, dall'intero suo genere di appartenenza, in quanto, sostanzialmente, ne rifiutano i principi cardine, e ciò li impossibilita a comprenderne la natura ultima. Non si tratta di un discorso metafisico né tanto meno pretenzioso: troppo spesso assistiamo ad aspre critiche nei confronti di formazioni mainstream contenenti al loro interno quelle stesse espressioni semplicemente capovolte di significato, ed è oramai diventato stucchevole dover ribadire come, proprio muovendo queste argomentazioni, altro non si faccia che confermare implicitamente la bontà di quello stesso lavoro che si vorrebbe al contrario demolire. Siano ruffiani, catchy, ammiccanti, patinati, gli Atreyu sono esattamente come dovrebbe essere, con orgoglio, con passione, al limite della perfezione creativa e scenica. Congregation Of The Damned, del resto, non presenta punti deboli evidenti se non forse la sola traccia Ravenous, dove un drumming in controtempo poco si addice al contesto ritmico dell'album: difficile, altrimenti, individuare episodi meglio riusciti di altri, forse la titletrack, la seguente Coffin' Nails, Gallows, Storm To Pass ed Insatiable; ad esclusione della conclusiva ballad Wait For You, zuccherosa quanto basta, o l'oscura Black Days Begin, dalle incisive sfumature glam, tutte le tracce proposte presentano le proprie peculiarità con sottigliezza ed astuzia, crescendo d'impatto e d'efficacia in maniera esponenziale agli ascolti.
Riprendendo quanto anticipato, per avvicinarsi agli Atreyu, soprattutto a questa loro ultima e definitiva espressione, è bene chiarirsi prima le idee e chiedersi cosa si vuole ascoltare davvero, perché acquistare Congregation Of The Damned e disprezzare quanto anticipato poco fa sarebbe come investire il proprio denaro in quadro astratto e giudicare l'astrattismo, per qualunque ragione possiate nutrire, un'incomprensibile fesseria. Gli Atreyu hanno proseguito con perseveranza il proprio percorso artistico, manifestando una crescita tecnica e compositiva assolutamente innegabile, e, alla luce del risultato conseguito, possiamo concludere che il loro obiettivo sia stato perfettamente raggiunto: se quest'ultimo è anche il vostro, Congregation Of The Damned è esattamente il disco che fa per voi.