- Thomas "Tompa" Lindberg - voce
- Anders Bjorler - chitarra lead
- Martin Larsson - chitarra ritmica
- Jonas Bjorler - basso
- Adrian Erlandsson - batteria
1. Blinded By Fear (03:12)
2. Slaughter Of The Soul (03:02)
3. Cold (03:27)
4. Under A Serpent Sun (03:58)
5. Into The Dead Sky (02:12)
6. Suicide Nation (03:35)
7. World Of Lies (03:35)
8. Unto Others (03:11)
9. Nausea (02:23)
10. Need (02:36)
11. The Flames Of The End (02:56)
Slaughter of the Soul
"We are blind
To the world within us,
Waiting to be born"
Cosi inizia una rivoluzione all'interno del metal estremo. Questi sono i primi vagiti di un album destinato a lasciare il segno, a stregare schiere di ascoltatori e a influenzare migliaia di gruppi. Potrebbe sembrare esagerato, ma ci si trova di fronte ad una di quelle uscite uniche, perfette, la cui alchimia si realizza solo una volta ogni decennio a voler essere ottimisti; è allora doveroso parlare di capolavoro assoluto. Ma partiamo dall'inizio, gli At The Gates sono uno dei gruppi fondatori, insieme a Dark Tranquillity, In Flames e Ceremonial Oath, della scena svedese di Gotheborg, sorella minore e più dinamica (nonchè contrapposta) della ruvida scena di Stoccolma (avente tra le sue fila gruppi come gli Entombed, gli Unleashed, i Dismemer e i Grave solo per citarne alcuni). In quei primi anni il grande fermento musicale di quella città era abbastanza caotico e venivano gettate le basi per quella che è ora conosciuta come NWOSHM (New Wave Of Swedish Heavy Metal). Si giunge cosi al 1995, allora gli At The Gates erano un gruppo che aveva seminato tantissimo, a partire dall'EP Gardens Of Grief che segnò il loro esordio discografico nel 1990 fino al fin troppo sottovalutato Terminal Spirit Disease (1994), ma le cui fatiche non riuscivano ad avere il riconoscimento meritato. Fu proprio il 1995 l'anno della svolta per gli At The Gates e tutta la scena di Gotheborg. In quell'anno le band di quella scena calano un poker d'assi destinato, non solo ad affermare il cosidetto Gotheborg Sound, ma a stravolgere una buona fetta del metal estremo. I sopracitati assi rispondono al nome di The Gallery dei Dark Tranquillity, The Jester Race degli In Flames, lo sconosciuto (purtroppo) Carpet dei Ceremonial Oath e questo Slaughter Of The Soul.
Ci si potrebbe lasciare andare in ragionamenti di ogni tipo, a voli pindarici per far capire l'importanza che questi quattro album, ed in particolare questo, hanno rivestito nella storia del metal, ma forse è meglio lasciar parlare la musica, basteranno le prime tre tracce per farvi ringraziare Dio di avere le orecchie; a partire da quella Blinded By Fear ormai entrata nel mito. Difficile immaginare un'opener più azzeccata, impossibile non restare annichiliti dal suo assalto sonoro che segue l'intro cacofonica e disturbante. Il pezzo vero e proprio parte come un colpo di mazza da baseball in pieno volto, uno schiacciasassi dalla velocità sostenuta che non lascia scampo. Il riffing è, nella sua semplicità, melodico quanto basta, potente e geniale. Il basso plettatrato rincorre e rinforza le 12 corde dei due axeman. La batteria è veloce, precisa e tagliente. A coronare il tutto c'è un "Tompa" Lindberg in stato di grazia con un growl acido, corrosivo e sofferente. La Perfezione con la P maiuscola. Nulla è fuori posto, nulla manca e nulla è di troppo. Insomma poco meno di tre minuti che potrebbero essere tra i più intensi della vostra esperienza musicale, e, storditi, vi renderete conto del perché questa canzone è forse la più coverizzata in ambito death. Neanche il tempo di riprendersi che gli scandinavi rincarano la dose con la title track: riff cattivissimo, stacco e il leggendario "GO!" che verrà in seguito copiato da innumerevoli gruppi: un vademecum su come far venir la pelle d'oca all'ascoltatore. La canzone in sè, forte di una serie di riffs da 110 e lode con bacio accademico, si candida come una delle migliori in assoluto dell'album. Il dubbio che qualcuno possa uscire indenne da questo uno-due devastante è più che lecito. La successiva Cold è maestosa, toccante e rappresenta uno stacco rispetto alle precedenti due tracce facendo prevalere la componente emotiva rispetto alla pur sempre elevata aggressività. Da segnalare il breve quanto incisivo apporto di Andy LaRoque (chitarrista storico di King Diamond e compare di sei corde di Chuck Schuldiner su Individual Thought Patterns) che delizia l'ascoltatore con un assolo al fulmicotone e perfettamente calato nell'atmosfera generale del pezzo. La maligna Under A Serpent Sun prende il testimone, non delude e grazie alla sua violenza unita a un atmosfera malsana sballotta l'ascoltatore in una spirale di emozioni alienanti. Quasi commovente l'assolo, talmente semplice da meritarsi a malapena quel nome ma talmente carico da emozionare ed esaltare. Con Into The Dead Sky gli At The Gates ci concedono un attimo di tregua regalandoci due minuti di introspezione nostalgica sulle ali di dolci chitarre classiche. La splendida Suicide Nation riprende quanto iniziato prima con una carica irresistibile. Ancora una volta le chitarre guidano questo viaggio con riffs perfetti e il buon Tompa si sgola per farci pervenire la sua rabbia, il suo grido contro questo mondo che sta andando in rovina. Assolutamente travolgente la parte cadenzata che apre World Of Lies, molto groovy e molto efficace. Se mai ci fosse bisogno di dirlo, il resto del pezzo non è da meno. Unto Others, con il suo riffing frenetico, non si discosta dalle tracce precedenti nè fa registrare alcun calo. Nausea è forse una delle tracce con più cattiveria del lotto, opprimente nel suo incedere: chitarre pesanti come macigni, improvvise aperture melodiche, continui cambi di tempo e riffs che si intrecciano continuamente lasciando l'ascoltatore stordito. Impagabile. I due minuti e mezzo dell'ottima Need vanno a chiudere le ostilità vere e proprie e ci consegnano alla struggente The Flames Of The End, outro che cattura in una contrastante sensazione di decadenza venata di speranza, fine perfetta, degna di un album perfetto.
Album totalmente bilanciato, nulla manca e nulla è di troppo come già detto in precedenza, non ci sono assoli ultratecnici per il solo gusto di metterceli, anzi spesso essi sono semplici e quasi scarni; le singole tracce e i riffs non vengono mai portate avanti per più del lecito e questo contribuisce all'incredibile longevità di questo capolavoro: anche dopo centinaia di ascolti non stanca ed è quasi come se lo si ascoltasse per la prima volta. Doveroso citare ancora un paio di ulteriori note di merito (come se già tutto il resto non bastasse) di questo capolavoro. I testi sono semplicemente splendidi: difficile trovare un modo migliore di esprimere a parole una rabbia sardonica e disillusa di tale intensità, se poi tali parole prendono vita musicale nell'ugola di Tompa, capace di venare il suo rabbioso growl di una sofferenza tanto reale, beh, il risultato è semplicemente perfetto. Infine, si nota una prestazione generale dei singoli assolutamente impeccabile, comprensivo il "sesto membro della band", il produttore, l'ormai celeberrimo Fredrik Nordstrom dei Fredman Studios. Una produzione finalmente all'altezza rispetto alle precedenti uscite, unita con l'indiscutibile qualità della loro musica ha permesso agli At The Gates di prendersi quello che si meritavano e che si sono conquistati lottando con denti e unghie. Giusto in tempo prima che il gruppo si sciogliesse, poco dopo il tour promozionale di quest'album. Slaughter Of The Soul è un vero e proprio manifesto del Death Melodico di Gotheborg, un manuale del genere con le sue 11 canzoni che, nella loro diversità, vanno a comporre un quadro omogeneo ma sfaccettato. Gli At The Gates dettano le regole e danno vari esempi su come applicarle. Ascoltando questo album ci si rende conto di quante band abbiano cercato di seguire questo manuale e li abbiano imitati senza però mai riuscire ad eguagliarli. Sorprendentemente tra questi tentativi si possono annoverare anche quelli dei cofondatori della scena In Flames (l'inizio di Food For The Goods ad esempio è una palese imitazione di quello della title track di questo Slaughter Of The Soul) e Dark Tranquillity (già in Mind's I del 1996 si può assistere all'apparizione di alcune sezioni con riffing tipico di questo seminalissimo album). Per non parlare delle innumerevoli bands metalcore e death-thrash che seguendone i dettami hanno dato alle stampe insipidi album fin troppo derivativi. In questo senso questo album è croce e delizia del metal odierno: la delizia della sua qualità e dei pochi tentativi di imitazione ben riusciti e la grande croce di un mercato ormai saturo di gruppi At-The-Gates-wanna-be. Lo sbaglio di questi gruppi è quello di non aver capito completamente quanto contenuto in questi appena 34 minuti di musica; imitarne la violenza e il riffing caratteristico non basta, perchè quello che rende unico quest'album non è quello, o almeno non solo, il vero ingrediente inimitabile sono quelle emozioni malsane di cui trasuda ogni canzone. Emozioni che la cui fonte è molto spesso irriconoscibile nel tessuto sonoro, le si sente ma sono impalpabili, colpiscono profondo nell'animo senza però mostrare in che modo. Per questo motivo, un vacuo assalto sonoro di pari intensità non sortirà mai lo stesso risultato ne sarà in grado di ricreare questa magia. L'importanza storica di questo album, unita alla sua qualità e alla sua longevità, lo rende un episodio più unico che raro che non può mancare dalla collezione di ogni appassionato di metal che si rispetti.