- Cedric Bixler Zavala - voce
- Jim Ward - chitarra, voce, sinth, pianoforte
- Omar Rodriguez Lopez - chitarra, voce
- Paul Hinojos – basso
- Tony Ajjar - batteria
1. Arcarsenal
2. Pattern Against User
3. One Armed Scissor
4. Sleepwalk Capsules
5. Invalid Letter Dept.
6. Mannequin republic
7. Enfilade
8. Rolodex Propaganda
9. Quarantined
10. Cosmonaut
11. Non Zero Possibility
12. Catacombs
Relationship of Command
La furia sanguigna sprigionata da un compatto manipolo di persone alimentate l’un l’altra da un alchimia pregna di magia ma allo stesso fragile quanto fruttuosa, risulta troppo spesso essere un’arma a doppio taglio, un carburante infinito ma instabile, una benedizione maledetta che permette di bruciare come una supernova per pochi istanti, prima di sovraccaricarsi ed autodistruggersi. Gli At The Drive-In non raggiunsero mai un successo unanime e totale, ma sicuramente goderono di quel momento di completa sintonia con la propria musica che rese loro possibile la creazione di un lavoro maturo e forse spropositatamente ambizioso per il proprio background, qualcosa che tutt’ora risulta essere un esempio chiaro e diretto di ciò che si intende per “dare tutto sé stessi”.
Relationship Of Command come ormai molti sanno fu il loro canto del cigno, un congedo tuttavia esemplare e glorioso, un tripudio di deflagrazioni post Hard Core che bruciano in fondo alla gola arrossata di Cedric Bixler-Zavala, tra le corde masticate della scassata chitarra di Omar Rodriguez-Lopez, sollevando montagne di polvere messicana e versando litri di napalm nelle orecchie di chi si apprestava ad ascoltare il loro sfrontato Proto-Punk rivoltoso e dominato dalle convulsioni più incurabilmente ossessive. Nonostante ciò la melodia vanta ancora la sua dannata e maliziosa importanza, e nelle canzoni che compongono la scottante tracklist di questo disco viene tenuta intelligentemente in considerazione, mutilata, violentata, torturata a morte e nascosta sotto cascate di rabbia eruttata come piombo fuso, ma comunque viva e presente. Un primitivo urlo di ribellione chiamato Arcarsenal viene scelto per presentare il disco all’utente, più o meno consapevole che sia, spazzando via in pochi secondi tutte le pallide imitazioni di ciò che avrebbe dovuto rappresentare nel 2000 una Hard Core Band. Il cantante sembra urlare fino a sputare gli intestini mentre i compagni intessono un tappeto noise spigoloso e variegato che si concede piccole ma significative sperimentazioni. Il tutto splendido ma assolutamente incantabile sotto la proverbiale doccia, ma per questo è ancora presto. Pattern Against User decide di smussare gli angoli ed inglobarci definitivamente nel suo nucleo iperpressurizzato e pronto ad esplodere, concedendosi pure un bridge melodico ed affascinante che ci prepara al primo singolo estratto, una grandioso connubio fra indie punk e pop rock intitolato One Armed Scissor. Qui la band riassume tutte le caratteristiche che la rendono unica, costringendosi ad un equilibrio precario ma ottimamente giustificato dal risultato ottenuto, le chitarre lavorano in tandem creando sporchi strati sonori complementari e dissonanti per poi sfogarsi senza preavviso nel ritornello quasi-radiofonico, deturpato dai cori ringhianti di Jim Ward. Ormai famose sono le esibizioni televisive di questo pezzo (guardare su youtube per credere), eseguito costantemente in un mini-tour per i canali nazionali americani, letteralmente devastando lo scenario patinato e perbenista organizzato dai vari David Letterman, Jools Holland, Conan o’Brein e via dicendo.Una breve parentesi Emo-core viene aperta da Sleepwalk Capsules, violenta come un martello pneumatico sui denti, sempre con l’apporto di voci sovrapposte e urlate senza ritegno e chitarre che macinano velocemente i secondi che ci separano dalla canzone che pare obbiettivamente la migliore dell’album: la successiva Invalid Letter Dept infatti, secondo singolo estratto, si contraddistingue per il suo spiccato eclettismo ed il suo alternare atmosfere diametralmente opposte, sviluppandosi continuamente fino a smontare il tipico schema della classica canzone rock/pop.La linea melodica delle strofe, rinforzata da delay e riverberi, sembra annunciare la pioggia acida chiamata The Mars Volta che come sappiamo bene da lì a poco costringerà il gruppo a dividersi, mentre il ritornello incisivo, orecchiabile e possente appartiene decisamente al tipo di sensibilità musicale di cui si approprieranno gli Sparta, creando un cocktail di enorme forza emotiva che culmina in quattro urla finali che strappano le corde vocali di Cedric e concludono con la giusta rabbia il pezzo.Altri esempi di fusione tra generi e stili si avranno con Enfilade, in cui una voce sintetica affettata dal tremolo si avventura tra bonghi e finte batterie elettroniche, per poi arrivare al noise di Rolodex Propaganda, che incorpora chitarre sporche e sincopate con tocchi di elettronica dati dall’uso del sintetizzatore, o ancora Quarantined, dove le atmosfere simil-prog la fanno da padrone lungo tutto il tappeto elettrico steso all’inizio del pezzo, per poi elevarsi ad un ritornello relativamente lento ma denso e pesante.
Gli At The Drive-In classici ritornano con Cosmonaut per un’ultima frustata di rabbia, concedendosi poi un momento di calma grazie a Non-Zero Possibility, buon pezzo suonato con pianoforte ed effetti manipolati, comunque marchiato a fuoco dalle personali soluzioni melodiche della band.Conclude il lavoro la robusta Catacombs che riesce ad infiammare nuovamente l’attenzione dell’ascoltatore con il suo turbinio distorto che non aggiunge nulla di nuovo a ciò che già è stato detto ma chiude con onore un disco di questo calibro. I segni che lascia questa ultima prova del gruppo di El Paso sono evidenti e difficili da cancellare.Poche band sono riuscite ad unire furore ed energia Hard Core a melodie coinvolgenti grazie alla loro spiccata orecchiabilità, senza tuttavia intaccare la genuina rabbia che li rende tanto amati dai fans.Forse solo i Rage Against The Machine possono costituire un valido esempio di ciò che, almeno a livello di attitudine ed approccio alla musica, hanno rappresentato gli At The Drive-In all’interno del panorama musicale.I loro testi sperimentali ed annegati nelle metafore e nelle terminologie più disparate, i loro intrecci melodici allo stesso tempo dissonanti ma ragionati, gli stacchi repentini di batteria e gli intermezzi di basso, la rauca e spiazzante stratificazione vocale che crea un sistema di battute e ribattute tra Cedric E Jim, dotati di voci diverse ma per questo complementari, aggrappate fino all’ultimo ad una salda linea melodica di fondo che costituisce la spina dorsale di ogni loro pezzo. Sono questi gli ingredienti che hanno reso grande questa band, che con questo ultimo lavoro sembra aver voluto dare tutto il possibile, dissanguandosi di ogni energia, premendo sull’acceleratore fino a rompere il pedale, quasi come se i componenti intuissero che qualcosa si sarebbe spezzato, che le loro ambizioni personali li avrebbero allontanati irrimediabilmente l’uno dall’altro. Finora, né i Mars Volta né gli Sparta sono riusciti a bissare il successo di questo disco, enorme esempio di alchimia furiosa condita alla messicana, facendo spuntare come funghi i siti web che reclamano a gran voce una reunion del quintetto che portò l’ Hard Core al limite della sua sperimentabilità.In definitiva questo disco non rappresenta una pietra miliare della musica o un classico da avere a tutti i costi, ma la volontà inespressa del voler spingere i propri orizzonti stilistici al limite possibile è totalmente apprezzabile, e la qualità del materiale qui contenuto, pur non raggiungendo lo status di capolavoro assoluto per un soffio, si candida come una delle più significative e personali espressioni di rock come dovrebbe essere inteso oggi da tutti gruppi: passionale, furibondo, melodico ed inarrestabile. Ma soprattutto, personale.