Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Corrado Penasso
Etichetta: 
Century Media
Anno: 
2009
Line-Up: 

:
- Martin Van Drunen - voce
- Wannes Gubbels - basso, voce
- Bob Bagchus - batteria
- Paul Baayens - chitarra

 

Tracklist: 

1. Scorbutics (04:26) 
2. The Herald (03:33) 
3. Bloodswamp (03:56)
4. Death The Brutal Way (03:52)
5. Asphyx II (They Died As They Marched) (06:40)
6. Eisenbahnmörser (05:42) 
7. Black Hole Storm (05:35) 
8. Riflegun Redeemer (05:40) 
9. Cape Horn (06:53)
10. The Saw, The Torture, The Pain (03:10)

Asphyx

Death...The Brutal Way

Il 2009 finora è stato pregno di ritorni ad opera di grandi band del passato e, fino a questo momento, i risultati non sono stati sempre eccezionali per le molte realtà del death metal che dominavano la scena vent’anni fa. I tempi cambiano e quando non si accetta l’invecchiamento ecco che la faccenda si fa complicata e molte volte si rischia di deludere i fan in attesa di qualcosa di grandioso. Recentemente, ricordo il caso dei Pestilence e degli Obituary;  tuttavia per fortuna non tutti i ritorni si possono accostare a quelli delle due band appena citate e gli Asphyx ce lo dimostrano con chiarezza e decisione.  Da poco riuniti con parte della line-up originale che diede alle stampe il mitico The Rack nel 1991, Martin Van Drunen e soci operano su questo Death... The Brutal Way un vero e proprio massacro in classico stile death metal con le solite venature doom.

Questo gran ritorno annovera canzoni abbastanza lunghe con ottime strutture al fine di risultare sempre oscure, putride e dannatamente affascinanti per tutti quelli che non hanno mai dimenticato la band. Qui si può tranquillamente dire di fare un bel tuffo nel passato poiché dovete dimenticarvi completamente innovazioni  o virtuosismi. Tutto é semplice, diretto e fottutamente old-school. Si inizia con la rallentata, pesantissima Scorbutics la quale, tra l’altro si fa notare egregiamente grazie a riffs che a tratti esplodono in un epico raggelante.  Manco a dirlo la voce di Martin è qualcosa che ha pochi paragoni nel mondo dell’estremo per il timbro malato, sofferto e schizoide che resiste all’inesorabile scorrere del tempo.  Le chitarre macinano riffs su riffs senza sosta e le improvvise sezioni in up-tempo ci fanno sussultare, complice anche la registrazione che mai come su quest’album è potente e semplice allo stesso modo.

Le lunghe sezione nettamente più impulsive di The Herald presto cadono in lunghe e sofferte partiture Sabbathiane con riffs macabri, ottimamente supportati dal solismo struggente e senza vita della seconda chitarra.  Non ci sono parti morte e nonostante la violenza inaudita di tali canzoni, le strutture sono sempre catchy, evitando facilmente cali di tensione. Ormai siamo dentro al marciume fino al collo e si prosegue inesorabilmente ma sempre molto volentieri con Bloodswamp (mai sentito un Martin così convincente in tempi recenti, forse fatta eccezione solo per gli Hail of Bullet). Si prosegue con l’assalto senza freni della title track (tra le tracce più riuscite del lotto) con le solite venature doom nella sezione centrale, le quali sono ben presto riprese dalla lunga, soffocante e putrida Asphyx II (They Died As They Marched), esemplificando alla perfezione il concetto di canzone esaltante ed evocativa nonostante i tempo lento e la lunga durata.

Eisenbahnmörser ci fa ritornare su binari velocissimi con lunghi up-tempo ed anche in questa situazione è bello notare come pochi riffs azzeccati possano rendere una canzona avvincente, brutale e di una compattezza mostruosa. Il classico esempio di come dei “vecchietti” che suonano semplicemente old school death metal possano far mangiare la polvere ai gruppetti di fighetti ultra tecnici dei giorni nostri. Le note di pianoforte di Black Hole Storm si sposano alla perfezione col mood macabro della song che si marchia di un ritornello ben riconoscibile. Subito in opposizione affrontiamo  la velocità ritrovata di Riflegun Redeemer che,  tuttavia, non lesina mortifere sezioni doom in una progressione al limite della sopportazione per la quantità immane di marciume che ci viene rovesciata addosso.  Manco a dirlo le funebri sezioni di Cape Horn ci ammantano nel nero più assoluto, dando quella profondità musicale che rispecchia un incubo da cui non ci si può svegliare.

Si termina il disco con la pesantezza del death/doom più macabro ad opera di The Saw, The Torture, The Pain, come ulteriore testimonianza della grandezza di quest’album.  Trovare difetti è difficile e forse l’unico punto ostico per coloro i quali non sono abituati a tali sonorità potrebbe derivare dalla lunga durata delle composizioni, anche se le strutture sono quasi sempre su livelli eccelsi mostrando grande professionalità in fase di composizione. Non si fa fatica a pensare che questo Death... The Brutal Way possa essere tranquillamente il disco estremo dell’anno. Grande ritorno.     
 

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