Voto: 
7.4 / 10
Autore: 
Corrado Penasso
Genere: 
Etichetta: 
Metal Mind Productions
Anno: 
2009
Line-Up: 

- Søren Nico Adamsen - Vocals
- Michael Stützer - Guitars
- Morten Stützer - Guitars
- Peter Thorslund - Bass
- Carsten Nielsen – Drums 
 

Tracklist: 



1. When Death Comes 05:56
2. Upon My Cross I Crawl 05:28
3. 10.000 Devils 05:22
4. Rise Above It All 05:32
5. Sandbox Philosophy 04:44
6. Delusions Of Grandeur 05:10
7. Not A Nightmare 05:30
8. Damned Religion 05:10
9. Uniform 05:00
10. The End 05:22

Artillery

When Death Comes

La serie dei grandi comeback delle realtà storiche del thrash che si compì a inizio millennio comprese anche gli Artillery i quali, con il buon B.A.C.K. datato 1999, anticiparono perfino di un paio d’anni il ritorno delle grandi realtà thrash metal d’Europa (Destruction, Kreator e Sodom). L’allora ritorno sulle scene ci mostrava la storica line up composta dai fratelli Michael Stützer e Morten Stützer alle chitarre e il mitico, sempre troppo sottovalutato Flemming Rönsdorf a volere dare un senso ancora più importante a quel ritorno da parte di una band che fu capace di grandi album in passato.

Il nuovo album, questo When Death Comes, segna il ritorno della band dopo ben dieci anni di silenzio dal quel B.A.C.K. e immediatamente possiamo notare un cambio nella formazione: Flemming Rönsdorf non è più il cantante e il suo sostituto è un giovane, semisconosciuto Søren Nico Adamsen. Le preoccupazioni al momento della notizia, diffusa prima delle registrazioni dell’album, risiedevano nel fatto che era difficile prendere il posto di Flemming, vuoi per carisma, vuoi per timbro vocale riconoscibile lontano un miglio. Fatto sta che questa pesante eredità che grava sulle spalle del nuovo singer viene portata con stile e forza perché anche se il ragazzo si differenzia (inevitabilmente) dallo stile del mitico Flemming, è anche sì vero che non possiamo non gioire della sua potenza vocale. Il suo stile si incastona alla perfezione nel suono degli Artillery e sovente, come vedremo tra poco, la sua versatilità lo porta ad assomigliare alcune volte allo stile di Flemming, senza per questo cercare di copiarlo.

Le dieci tracce su questo nuovo album ci accompagnano in un viaggio lungo quasi un’ora senza, per questo, mostrare segni di grande cedimento. I riferimenti dal punto di vista tecnico delle canzoni al capolavoro By Inheritance (1990) sono evidenti, poiché abbastanza lunghe, complesse e arrembanti alo stesso tempo. La registrazione è spettacolare poiché mantiene quella pulizia tipica di inizio anni 90, quando il thrash metal stava raggiungendo picchi altissimi di maturità, appena prima di piombare nel baratro. Sin dall’attacco della title-track possiamo inquadrare lo stile di quest’album: cavalcate furiose, up tempo selvaggi, influenze più melodiche e mid-tempo che distruggerebbero una città per potenza. Il lavoro svolto dalle due asce è incredibile poiché sempre ispirato, furioso e tecnico allo stesso tempo. L’intreccio di riffs è una peculiarità di quest’album e quando essi si fanno un pelino più melodici ecco che la voce arriva su buoni picchi di pulizia/potenza riuscendo a supportare benissimo le tipiche partiture “alla Flemming”, caratterizzate da quel tocco più orecchiabile.

Se Upon My Cross I Crawl si fa notare per la sua impulsività, ecco che a rallentare il disco ci pensa quel macigno di 10.000 Devils per poi cadere più pesantemente nel groove degli intrecci chitarristici di una ottima Rise Above It All, caratterizzata da una buona sezione veloce nel mezzo, a voler dare vigore. Sandbox Philosophy non la smette un attimo di pigiare sull’acceleratore; i riffs serrati stile cavalcata donano un impatto notevole mentre il refrain si differenzia per il solito tocco orecchiabile. Come ogni album thrash metal vecchio stile che si rispetti, non possiamo non trovare una semi-ballad: Delusions Of Grandeur. Gli arpeggi di tonalità più introversa si mescolano perfettamente al mood decadente della traccia, senza dimenticare le parti più metalliche, prontamente riprese dall’inquietante, evocativa  Not A Nightmare. Un leggero calo si ha con Damned Religion, un mid-tempo poco grintoso dal ritornello troppo orecchiabile che a volta mi ha fatto persino tornare in mente gli Extrema di fine anni 90 (!!)

Uniform è carina ma anch’essa si distacca leggermente dal modello di thrash metal proposto in precedenza, puntando tanto, forse troppo, sul groove con riffs dissonanti senza badare tanto all’impatto che una song deve avere. Assolo di chitarra pregevole, in ogni caso. The End ci saluta con un buon ritorno al thrash veloce senza dimenticare le digressioni melodiche e il tocco groove che, se fatto bene e con potenza, non guasta mai. In definitiva, ci troviamo al cospetto di un più che discreto disco thrash metal da parte degli Artillery. Bisogna solo non farsi ingannare troppo per il semplice fatto che suona thrash metal al giorno d’oggi, poiché c’è il rischio di prenderlo come un capolavoro per questo semplice fatto. Ad ogni modo, un ascolto è sempre d’obbligo quando si parla degli Artillery.  
 

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