- Angela Gossow - voce
- Micheal Amott - chitarra e cori
- Chrisopher Amott - chitarra
- Sharlee D’Angelo - basso
- Daniel Erlandsson - batteria
1. The Root Of All Evil (Intro) (01:06)
2. Beast Of Man (03:45)
3. The Immortal (03:47)
4. Diva Satanica (03:48)
5. Demonic Science (05:24)
6. Bury Me An Angel (04:25)
7. Dead Inside (04:24)
8. Dark Insanity (03:25)
9. Pilgrim (04:50)
10. Demoniality (Instrumental) (01:40)
11. Transmigration Macabre (03:33)
12. Silverwing (04:22)
13. Bridge Of Destiny (07:53)
The Root of All Evil
The Root Of All Evil, ultimo lavoro dei ritrovati Arch Enemy, è uno dei classici esempi di album per il quale spendere troppe parole diventerebbe un esercizio stucchevole per il recensore e noioso per il lettore. Il primo punto dal quale partire per cercare di comprendere questa perentoria affermazione è il back ground discografico della formazione svedese: l'ultimo album di inediti, l'enigmatico Ryse Of The Tyrants, risale ormai al 2007, dopo di ché è stata la volta di un dvd live, l'eccellente Tyrants Of The Rising Sun, nel 2008; nel 2009, infine, un vergognoso best of.
L'evidenza dei fatti ci porterebbe a considerare maturi i tempi per un nuovo album di inediti che riesca a dare una risposta definitiva agli interrogativi e soprattutto alle perplessità suscitate dal predecessore, invece cosa ci propina la gloriosa band dei fratelli Amott? Un'altra compilation: The Root Of All Evil, infatti, consiste nella ri-registrazione e ri-masterizzazione di tracce estratte dai primi 3 album pubblicati dalla formazione originaria di Halmstad, ovvero l'esordiente Black Earth, il successivo Stigmata e quindi Burning Bridges. A questo punto è d'obbligo porsi una domanda che, immancabilmente, sarà già venuta in mente anche voi: che senso ha proporre un album costituito da tracce estratte da album precedenti ma assolutamente rintracciabili e per nulla introvabili? soprattutto, quale significato può avere far rimanere i propri fan a bocca asciutta addirittura per 3 anni, cercando di alleviare le sofferenze dell'attesa con palliativi infantili, indisponenti, semplicemente intollerabili come il best of pubblicato a febbraio, dal titolo tanto roboante quanto illusorio, Manifesto Of Arch Enemy (10 pezzi in totale di cui 2 persino live)?
Molto probabilmente ci saranno numerosi critici ed estimatori che si dilungheranno a piè sospinto sull'aspetto che maggiormente il sottoscritto reputa velleitario e realmente inutile, vale a dire il confronto fra Angela Gossow e John Liiva: l'interrogativo che si rincorre oramai da 9 anni, al partire cioè dall'inattesa cacciata di quest'ultimo ad opera del fratello maggiore degli Amott ovvero Michael, è, nella sostanza, se sia meglio lui o lei, il maschio o la femmina, il growler o la growless. Già di per sè, proprio perché si tratta di paragone tra cantanti di sesso diverso, un simile confronto dovrebbe risultare francamente improponibile, ma nella squallida penuria di temi veramente interessanti che ci offre quest'ultimo The Root Of All Evil ci sentiamo in dovere di comprendere e giustificare anche quanti si lanceranno in ardite perorazioni a favore dell'uno o dell'altra, perchè, altrimenti, sarebbe praticamente scontato stendere un velo pietoso e osservare qualche minuto di generoso silenzio. Stando a quanto detto, non ci soffermeremo ad assistere a un duello impari per volere stesso di Madre Natura, nè tantomeno perderemo il nostro tempo ad analizzare traccia per traccia differenze e similitudini fra l'edizione 2009 e le precedenti 1996, 1998 e 1999: sarebbe come paragonare, in pratica, la FIAT 500 degli anni '60 con la nuova FIAT 500 degli anni 2000, ovvero stessa idea progenitrice, stessa concezione economica ma un gap tecnologico inevitabilmente a vantaggio di quest'ultima (tanto più se la direzione della produzione spetta ad un professionista serio e scrupoloso come Andy Sneap), con la conseguenza di una maggior cura dei dettagli, un'estetica più raffinata, una potenza infinitamente superiore.
Il lato più interessante, alla luce di una pubblicazione oggettivamente inutile come quella di The Root Of All Evil, è proprio la conseguenza più evidente di queste considerazioni, perchè capita spesso che quando una band decida di produrre un greatest hits molti interpretino una simile decisione come una sorta di autocelebrazione e/o di autoassoluzione per via della stanchezza che inevitabilmente incombe dopo anni di onorata carriera, rimanendo ugualmente intatta la volontà di acquisire denaro facile; al contrario, la ri-registrazione e ri-masterizzazione di brani già pubblicati e facilmente reperibili assume un significato molto più profondo, molto meno interpretabile e decisamente più inquietante. La volontà, o, subdolamente, la necessità di ricorrere al proprio repertorio pur di dare alle stampe un album nuovo, ma che di per sè non è nè carne nè pesce, nè un best of nè un album di inediti, incute il serio timore che gli Arch Enemy siano oramai giunti al capolinea, non per le solite inspiegabili difficoltà interne fra componenti più o meno conciliabili caratterialmente (questa la spiegazione più frequente al disfacimento di una band o alla fuoriuscita di uno o più componenti del gruppo), bensì, molto peggio, per una carenza di idee propositive evidentemente spaventosa, un buio artistico e compositivo di proporzioni catastrofiche se in questi 3 anni musicisti del valore di questi 5 svedesi non sono riusciti a comporre nemmeno 10 pezzi nuovi per un vero disco. A ciò va aggiunto che, a prescindere dai motivi reali che non ci è dato sapere, The Root Of All Evil fa il paio con Manifesto Of, vale a dire 2 compilation irritanti ed irrispettose nei confronti di una platea che certo si aspetta, da una band del calibro artistico e del valore storico degli Arch Enemy, ben altri prodotti.
Al contrario, dal punto di vista strettamente commerciale si può certamente dire che si tratti di un'operazione, se non proprio remunerativa (al di là dell’assoluta evidenza di questo viscido proposito), per lo meno intelligente, atta a mantenere viva l'attenzione su un gruppo in evidente declino, proprio per via di una pausa sospetta, eccessiva e deliberatamente riempita da prodotti di qualità alterna (unico a salvarsi il fantastico dvd live di Tokyo, davvero una perla inestimabile): la riedizione di vecchi brani dell'epoca John Liiva ha rinfocolato, come già si diceva in precedenza, accesi dibattiti in proposito della presunta superiorità dell'uno sull'altra (la cui insensatezza è già stata dimostrata in precedenza), resuscitando quell'interesse nei confronti degli Arch Enemy che sembrava oramai sopito. Viceversa, qualunque tipo di elucubrazione non muta la realtà dei fatti, che vede in The Root Of All Evil un prodotto indegno nei confronti della storia della musica, irriverente nei confronti dei fan che certamente meritavano un nuovo album di inediti, inutile per i nuovo adepti del metal, ai quali non si può non consigliare di trovare e acquistare i 3 album originali, perchè se degli Arch Enemy si vuole riscoprire le origini allora non si può prescindere da John Liiva e, considerato anche il prezzo relativamente modico che avranno oggi album usciti non meno di 10 anni fa, tanto vale investire il proprio denaro nelle 3 vere opere che rispondono al nome di Black Earth, Strigmata e Burning Bridges, non certo in quella summa raffazzonata e indecorosa che è The Root Of All Evil.
Post Scriptum: per quanto possa sembrare un dettaglio marginale e superfluo, un applauso sincero lo merita certamente l’artwork, ad opera del brasiliano Gustavo Sazes, all’ennesima prova di assoluto livello internazionale, probabilmente l’unico ad aver portato il dovuto rispetto al buon nome degli Arch Enemy.
Giudizio finale, 4 : visto che il 2 andrebbe riservato al precedente Manifesto Of e un 3 sarebbe ingiurioso nei confronti della storia del death metal almeno quanto questo stesso album, il 4 è l'espressione numerica più appropriata per un prodotto concettualmente scandaloso; per una band forse vittima della propria label, di certo carnefice del proprio terreo presente.