Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Korm Plastics
Anno: 
2000
Line-Up: 

- Kim G. Hansen - tutti gli strumenti
- Marie-Louise Munck - voce

Tracklist: 

1. Here to Go
2. Like Rain
3. Let Me Ride It
4. Whispering
5. PPG Hold PRG. 11
6. Moving Slow
7. Something Not to Do
8. Memo

Antenne

#1

Gli Antenne si formano a Copenaghen nel 1999 dall'incontro di Kim G. Hansen (proveniente del gruppo industrial/ebm Institute for the Criminality) con la cantante Marie-Louise Munck (già membro del gruppo trip hop Amstrong). Il primo full-lenght esce già dopo un anno e si intitola #1, ad indicare con semplicità ed immediatezza che è il loro esordio, il primo capitolo di un viaggio soffuso fra tetre strade silenziose e alberati bagnati da gelide goccie di pioggia.

Il loro è un trip-hop rarefatto e intimista, dall'approccio ambient-oriented e influenzato dalla vena avanguardista degli Skylab, con piccole punte del modernismo oscuro di gruppi come i Funki Porcini e dei Portishead per l'inquietudine psicologica (ma in una veste meno psichedelica e più onirica).
La musica è prolungata e oscura, un tappeto malinconico su cui si adagia la mesta e vellutata voce di Marie-Louise, in alcuni casi vicina alla Beth Gibbons più addolcita e sempre impegnata in languidi vocalizzi quasi da nenia triste e solitaria con cui introdurre paesaggi desolati. Gli arrangiamenti sono minimali, non "scarni" quanto essenziali, portati avanti per sottrazione piuttosto che snocciolando inserti elettronici e beats cupi; anzi, la ripetizione dei fondali oscuri e del battito rallentato su di un impianto rarefatto giocano un fattore cruciale nel rendere i pezzi sempre più tenui, sofferti, anche dedacenti e quasi spettrali in certi momenti.
Ne risulta così una raffinata ed autunnale gemma di melodia proveniente dalle fosche terre scandinave.

L'iniziale Here to Go è un pezzo liquido e noir, con la contrapposizione fra la voce (leggera, candida, quasi eterea) e gli effetti sonori di sottofondo ben più claustrofobici e con piccoli giri di note acide che fanno capolino ogni tanto. La batteria scandisce regolarmente con delicatezza ma costanza il brano mentre la voce della Munck  intona tristi melodie accompagnate da effetti acidi di sottofondo. Il tutto è prolungato per oltre 7 minuti, che rendono il brano un po' estenuante ma fortemente corposo per quanto riguarda l'atmosfericità, risultando così cupo, distorto, ma anche al tempo stesso vellutato.
Like Rain rievoca il trip-hop cupo e minimale degli Skylab, contornato solo da inserti atmosferici decadenti e dalla voce eterea ma dolente della Munck. Il battito secco ed inesorabile trasporta in uno scenario urbano desolato, occasionalmente spezzato da dolci chitarre essenzializzate a rappresentare una piccola scintilla di calore nella dolente (come se ci fosse realmente una fredda pioggia a riempire l'aria) solitudine della canzone. La voce campionata ricrea un'aura quasi disumanizzante di sfondo al battito sintetico, ma essa viene spezzata dalla dolcezza del timbro vocale.
La strumentale Let Me Ride It è un misto di soluzioni ambient per tappeti atmosferici minimali, di interventi rumoristici qua e là e di downtempo cupo che emerge tenuamente in lontananza. Qui il contatto con gli Skylab è molto vicino, ma è filtrato con un'ottica meno avanguardistica e più dark-atmosferica, con un crescendo d'oscurità da cui emergono risvolti spettrali (seppur filtrati da un'elettronica tagliente che rimanda all'angoscia delle metropoli e all'era digitale) in conclusione di brano.
La lunga Whispering sfiora i dieci minuti di chitarre acustiche dolci ma malinconiche, effetti elettronici eterei ma tetri e secco battito lungo vari punti della traccia. La lunghezza rende la canzone un po' ripetitiva, in parte stemperando l'emozionalità depressiva di sfondo, ma in parte anche esaltandone l'angoscia latente.
PPG Hold PRG. 11 è principalmente una digressione strumentale ambient contaminata da droni minimali ed un battito tenue che genera un'atmosfera spettrale.
In Moving Slow gli effetti riverberati conferiscono tonalità alienanti e lisergiche al pezzo (aumentate dall'andamento monotòno quasi ossessionante), in un rapporto di contrasto/complementarietà con le morbide tastiere malinconiche di sottofondo, i timidi e sporadici interventi di chitarra bluesy e la dolce voce mesta di Marie-Louise. L'incedere gelido e sostenuto rende l'aura della canzone quasi terrificante, mentre un'angoscia sommessa emerge fra le note ed i tappeti di tastiera.
Something Not to Do mostra delle ritmiche più decise adagiate su tappeti di tastiera onirici e effetti elettronici in looping ossessivi, sfociando in una sorta di dolceamaro reso particolarmente intenso dai synth acido/robotici che emergono nel finale.
In conclusione del disco troviamo Memo, altra strumentale e accattivante ibrido fra elettro-ambient, piccoli spruzzi psichedelici e melodie quasi pop.

Questo lavoro è essenzialmente un elegante esempio di come la sensibilità malinconica tipica della Scandinavia, unita al battito moderno bristoliano, possa risultare in un'opera sofferta ed espressiva, soffice nella sua costruzione e lineare nello scorrere dei brani, nelle sue tessiture ben più complessa e certosina di quanto potrebbe apparire in luce del gioco di dilatazioni e ripetizioni delle melodie, dei ritmi e dei motivi.
Un disco cupo e dolente, ma anche dotato di una certa, piccola forma di calore, quella posta più in profondità pronta ad emergere fra fredde pioggie, foschia silenziosa ed imminenti nevi.
Un gioiello perduto da recuperare - ma anche un lavoro certamente particolareggiato e di più difficile accesso per molti.

Successivamente all'uscita di quest'album, gli Antenne pubblicano un mini incentrato sul singolo Here to Go, contenente numerosi remix ed un inedito.

"Cold rain, is falling down..."

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