- Avey Tare
- Panda Bear
- Deakin
- Geologist
1. Peacebone
2. Unsolved Mysteries
3. Chores
4. For Reverend Green
5. Fireworks
6. #1
7. Winter Wonder Land
8. Cuckoo Cuckoo
9. Derek
Strawberry Jam
La marmellata di fragole secondo Avey, Panda, Geologist e Deakin: una buonissima, zuccherosa, dolce, unione di sapori antichi e tecniche di lavorazione moderne.
“Strawberry Jam” arriva, attesissimo, a due anni dalla pubblicazione di quel “Feels” che tanto aveva fatto discutere per via dell’apertura a suoni smaccatamente Pop e giocosi, e a circa un semestre di distanza da un “Person Pitch” (terzo album solista di Panda Bear) che con le sue clamorose qualità era riuscito nell’impresa –notevole- di rintuzzare la già corposa attenzione di cui gode il quartetto newyorchese.
Lungi dallo scomporsi di fronte a tanta fibrillazione, in questo loro primo disco per la Domino, Panda e Avey hanno deciso di rimescolare un po’ le carte in tavola: “Strawberry Jam” è sì il figlio illegittimo di “Feels”, perché parte dagli stessi presupposti e ne può esser considerata la diretta evoluzione, ma al contempo va a ripescare alcune intuizioni dell’epoca pre-“Sung Tongs” e cerca di evitare che la combinazione di questi due stili risulti un indigeribile pastone, tentando invece di ottenere qualcosa di piacevole, dalla facile fruizione ma al contempo non scontato. Una marmellata, insomma.
La ricetta è intelligente, e nonostante qualche caduta di tono, il collettivo riesce a farsi perdonare un “Feels” che, pur buono, non risultava sempre all’altezza dei loro standard. Torna quindi ad avere peso, a differenza di quanto accadeva in un “Feels” pulitissimo e levigato, il massiccio impiego di rumori ed effettistica varia ed eventuale: strati di vibrazioni, samples, loops, brulicanti sfondi elettrici ed elettronici fanno da contrappeso alle sempre più centrali armonie vocali di Avey (come accadeva per “Person Pitch”, anche qui i Beach Boys di “Pet Sounds” sono un punto di riferimento imprescindibile) e alle divertenti melodie Indie-Pop discendenti dalla celebrata “Who Could Win a Rabbit” e dei più ispirati momenti di “Feels” (“The Purple Bottle”, “Grass” e “Turn into Something”).
Il trucco riesce talvolta a meraviglia, soprattutto quando si va a scavare in suoni agrodolci che integrino corpose dosi di suoni e rumori alla coinvolgente componente melodica: è il caso delle mediane “Fireworks” e “For Reverend Green”, salutate con un plauso pressoché unanime dalla critica, brani oggettivamente di un altro pianeta rispetto ai restanti, poiché capaci di combinare in maniera pressoché perfetta nebulosi sfondi sonori con strofe di appagante piacevolezza armonica. Di ottimo livello anche l’iniziale “Peacebone”, aperta da una cascata di frantumi elettronici che tentano di disturbare l’ossessivo accompagnamento ritmico e le divertenti svisate di farseschi rumori, mentre “Winter Wonder Land” e “Chores”, sono diretti sviluppi dello spensierato divertissement Pop di “Feels”, e si fanno apprezzare per il loro stile brioso e vivace, che ha nell’immediatezza il proprio punto di forza.
Meno indovinati episodi come la scialba “Unsolved Mysteries” (a cavallo fra le basi acustiche di “Sung Tongs” e le ambientazioni sintetiche più recenti), indecisa e priva di quella ‘carica’ che è oramai fondamentale per gli Animal Collective; anche la monotematica “#1” (un brano recitato su uno sfondo di loops elettronici piuttosto psichedelici) appare piuttosto fuori contesto per il suo laborioso tentativo di costruzione dell’atmosfera e del mood, in un disco che al contrario fa della brillantezza su brevi distanze la propria arma vincente.
Tocca alle repentine esplosioni di “Cuckoo Cuckoo” (leggermente confusionaria) e alla tenera (ma a tratti stucchevole) ballata “Derek” il compito di concludere un disco positivo e gustoso che grazie alle sue intrinseche caratteristiche potrà trovare un’ampia base di estimatori (soprattutto nuovi, ma anche ritrovarne di ‘vecchi’): pur non essendo un esplicito ritorno al passato né per suoni né per qualità (le vette dei primi esperimenti di Avey e Panda rimangono molto lontane), anche chi non ha troppo apprezzato “Feels” potrebbe approvare il mezzo passo indietro di “Strawberry Jam”.
C’è ancora da lavorarci, su questo stile Pop in cui oramai sguazzano giocondi gli animali di Baltimora, e che allo stato attuale delle cose non risulta affinato al punto giusto, ma godersi un po’ di questa marmellata permette all'ascoltatore di guardare al futuro del Collettivo con una buone dose di fiducia.
LINKS PER L’ASCOLTO
Myspace degli Animal Collective