Ame (Enrico Carrino) - voce, chitarra
K.Lone (Anacleto Vitolo) - batteria, electronics
Golem
Equilibrista
Pareti
Clandestino
Puntini
Blu
Automa Meccanico
Santiago
Pantin
Pantin
L’ultima volta che ho scritto di Ame ho concluso la recensione del suo King Of Tramps alludendo a quanto fosse difficile emergere di questi tempi, in Italia, se non si canta in italiano.
Ame Pantin, mutazione cronenberghiana di quel progetto, canta in italiano, ma non bisogna farsi troppe illusioni su una svolta ‘commerciale’ del nostro, tutt’altro; se lo fa, non è per reazione a quello stato di cose ma semmai per amplificare o fors’anche esasperare un suo messaggio.
Enrico Carrino, avvalendosi delle pelli e dell’elettronica di Anacleto “K.Lone” Vitolo dà vita ad un’opera in apparenza molto lontana dallo psycho-folk del passato, pervasa com’è da suggestioni mutuate da altri scenari e capace di una forza espressiva e comunicativa anche maggiore. L’inizio dell’album, Golem, ad esempio, è a dir poco ‘swansiano’ nella sua sintesi di industrial post apocalittico con tamburi marziali e scarna chitarra acustica neofolk prima e affondi post-core e code d’organo alla fine. Un’ambientazione oscura quindi, fatta di maree elettriche e voci robotiche che vanno ad infrangersi su scogliere di elettronica disturbante.
Se Enrico mi consente, definirei quest’opera ‘politica’ e non solo perché lui parla di ‘società malata’ e né io intendo di ideologie. Alludo piuttosto alla complessità e alle stratificazioni, ai rimandi e alle citazioni più o meno dirette che più di una volta durante l’ascolto mi han fatto pensare a quel periodo in cui anche in Italia attraverso il rock si faceva cultura o meglio contro-cultura. Penso alle avanguardie dei nostri anni settanta che allora utilizzavano l’ormai lontano verbo del beat senza quelle paure tutte moderne dell’osare, del dire, del contaminare. Dell’autocensurarsi.
Dietro il lamento di Pareti non si scorge forse la sagoma di un Demetrio Stratos o di altri dimenticati eroi di quell’era titanica in cui sui palchi dei festival della nostra penisola si scuotevano le coscienze? O almeno si provava a farlo, insomma.
Si dirà che quel cantato un po’ visionario e folle, buckleyano come lo definii allora, Ame lo ha sempre avuto, ma ora egli aggiunge persino dei ‘recitati’ che più che a Ferretti o a Clementi rimandano proprio alla teatralità e ai girotondi di certo progressive impegnato.
Anche i brani più convenzionali per suono e struttura come l’irruenta cavalcata punk di Clandestino o l’acustica Puntini (con dei lirici cori di sfondo che neanche nei più angoscianti album di folk apocalittico) hanno quel retrogusto di verità e forse perfino qualche ingenuità a livello di testi che non può che fare bene all’arte e alla musica in genere. Perché ribadisce che i veri artisti per essere intellettualmente onesti nonché intensi nei risultati devono sentirsi liberi di fare il cazzo che vogliono ed Enrico Carrino, Ame, AmePantin o come diavolo vorrà chiamarsi domani, questo concetto lo ha ben chiaro, sia che si esprimerà nel suo alt-folk solitario, sia che continuerà questa promettente partnership con K-Lone che - ascolto dopo ascolto - prende forma e dissipa quella foschia iniziale in cui sembra perdere direzione.