- Myles Kennedy - voce
- Mark Tremonti - chitarra
- Scott Phillips - batteria
- Brian Marshall - basso
1. Ties That Bind
2. Come To Life
3. Brand New Start
4. Buried Alive
5. Coming Home
6. Before Tomorrow Comes
7. Rise Today
8. Blackbird
9. One By One
10. Watch Over You
11. Break Me Down
12. White Knuckes
13. Wayward One
14. The Damage Done
Blackbird
I Creed con un nuovo cantante? No. Con questo secondo lavoro gli Alter Bridge si liberano senza ombra di dubbio di questo paragone.
Tre quarti della band statunitense viene dalle ceneri dei Creed, ma, col nuovo gruppo e soprattutto con questo secondo album Blackbird, i tre musicisti Mark Tremonti, Scott Phillips e Brian Marshall ci offrono un quadro musicale nettamente diverso da quanto ci si poteva aspettare da ex-Creed.
Quattordici brani che restano facilmente avvinghiati alla memoria, senza per questo essere classificati come brani troppo scontati o ripetitivi. Il quartetto vale, e intelligentissima è la scelta del cantante operata dai 3 ex-Creed: si tratta di Myles Kennedy, che già cantava nei Mayfield Four; un timbro che a tratti ricorda quello di Chris Cornell, una evidente capacità espressiva e di modulazione della voce, un grande cantante che finalmente in questo secondo lavoro è riuscito ad esprimere al meglio la sua verve, il suo calibro.
Blackbird alterna saggiamente momenti soft (come Brand New Start o Before Tomorrow Comes) con altri più heavy (come la bellissima White knuckles), e lo fa creando un insieme organico, armonioso che scorre piacevolmente e si lascia assaporare senza difficoltà. Sono diversi i pezzi che meritano di essere menzionati in modo particolare per i richiami e la bravura compositiva della band. Già l’inizio dell’album dimostra l’intenzione non troppo soft del lavoro col brano d’apertura Ties That Bind: un bell’intreccio di basso, chitarra e batteria cui subito si aggiunge la bella voce di Kennedy; la potenza del chitarrista Tremonti qui è tangibile, una potenza che conferisce grinta al pezzo e all’album in generale. Fin dai primi brani si capisce in effetti che la band si avvicina con questo secondo lavoro a sonorità più decise, energiche e heavy senza però abbandonare le melodie, presenti in ogni canzone. Buried Alive conferma il primo impatto positivo: questo quartetto è abile nel riuscire a mixare richiami alla tradizione heavy sabbathiana con influenze metal più recenti e altri momenti più orecchiabili. Il pezzo che spicca è decisamente la title-track: otto minuti che scorrono tra la voce di Kennedy e gli strumenti che raccontano dolori e angosce (il pezzo è stato scritto da Kennedy in ricordo di un suo caro amico strappato alla vita dal cancro, un amico al quale lo stesso Kennedy aveva regalato una chitarra, e Blackbird dei Beatles era stata la prima canzone imparata). Evidenti durante il pezzo sono la malinconia, il dolore, l’impotenza, sentimenti che Kennedy riesce qui ad espremere più che mai. L’inizio di White knucles è un’esplosione, un’esplosione che come sempre è poi seguita dalla melodia per poi ripartire grintosissima.
Un album con uno schema che si ripete ma senza stancare: energia e melodia si seguono, si intrecciano, e confermano il cambiamento operato dalla band rispetto al loro biglietto da visita One Day Remains del 2004.