- Andreas Brandt – Violino
- Mikael Johansson – Basso
- Dennis Lundh – Batteria
- Dan Söderqvist – Chitarra
- Jan Ternald – Tastiera, Moog, Sintetizzatore
- Sebastian Öberg – Violoncello
Ospite:
- Margaretha Söderberg – Voce
1. Två timmar över två blå berg med en gök på vardera sidan, om timmarna, alltså (13:13)
2. Det finns en tid för allt, det finns en tid då även tiden möts (6:10)
3. Möjligheternas barn (3:12)
4. Tristans klagan (1:41)
5. Viriditas (2:59)
6. Saturnus ringar (7:15)
7. Framtiden är ett svävande skepp, förankrat i forntiden (5:06)
8. 5-4 (10:26)
9. Gabriels Speglar (8:25)
Nota: le tracce 8 e 9 sono bonus tracks presenti esclusivamente sulla ristampa in formato CD; sono canzoni registrate dal vivo nell'autunno del '72 al Museum of Art di Göteborg.
Framtiden är ett Svävande Skepp, Förankrat i Forntiden
Gli Älgarnas Trädgård ('il giardino degli alci') furono un gruppo svedese attivo nei primi anni '70, l'età d'oro per la Silence Records e per tutto quel variopinto movimento musicale ed artistico prettamente svedese noto come Progg: un coacervo di bands musicalmente diverse tra loro, ma unite dalla militanza politica sinistrorsa, dagli ideali progressisti e dalla volontà di portare aria fresca nel panorama musicale del paese, attraverso concerti auto-gestiti, etichette indipendenti ed adattando il Rock alla loro sensibilità; in quel panorama acerbo e mediamente mediocre, se rapportato a quello internazionale, ci furono però ensemble di caratura superiore, magari defilati perfino rispetto alla scena dell'epoca e pertanto rimasti oscuri per decenni prima di poter essere riscoperti - e gli Älgarnas Trädgård, unici nelle loro tendenze sperimentali ed atipiche, sono certamente il più interessante dei gruppi di culto della Svezia d'inizio seventies.
Pubblicato nel 1972, “Framtiden är ett Svävande Skepp, Förankrat i Forntiden” (approssimativamente “il futuro è una nave fluttuante ancorata al passato”) fu il disco di debutto degli Älgarnas Trädgård, un sestetto le cui uniche altre registrazioni (datate 1974) dovettero aspettare fino al 2001 per poter essere infine pubblicate (con l'indubbiamente ironico titolo “Delayed”); mentre le altre compagini loro compatriote s'ispiravano al comune Rock americano, o al Progressive inglese (uno dei pochi generi in cui la scena svedese riusciva a produrre alcune band degne di nota, Kaipa e Trettioåriga Kriget le più significative dell'epoca) o alla musica Folk locale (tutti ambienti da cui gli Älgarnas Trädgård trarranno comunque profonda ispirazione), la peculiarità di questo gruppo fu di volgere il proprio interesse verso sud, verso quella Germania all'epoca fucina di una delle più creative ed innovative scene musicali, e di attingere a quella preziosa fonte per donare ulteriore profondità alle proprie idee musicali.
“Framtiden...” è un disco di Rock prevalentemente strumentale, fortemente psichedelico e progressivo, con i King Crimson come riferimento per le parti più strutturate e il minimalismo di Terry Riley o dei Tangerine Dream come nume tutelare dei movimenti più quieti, ariosi e dilatati: disco estremamente atmosferico e sovente modulato con la massima accuratezza, “Framtiden...” costruisce infatti con estrema calma i propri schemi sonori, sovrapponendo gradualmente strumenti, strati, melodie, fino al raggiungimento di un particolare climax, spesso costretto a volatilizzarsi in un'impalpabile nube poco dopo essersi materializzato. Le visioni sperimentali degli Amon Düül II, nei loro capitoli più prolungati ed improvvisati, i collage sonori dei Can o, ancor più, le allucinate transizioni tra luci ed ombre degli Ash Ra Tempel, sono quindi fondamentale influenza per le progressioni degli Älgarnas Trädgård; a rendere la band estremamente peculiare e differente dagli altri progetti stranieri è però la profonda fusione degli elementi musicali appena elencati con armonie legate al Folk scandinavo, e quindi l'inserimento d'interventi di violino, violoncello, arpa a bocca, flauto e cornetto a mitigare le sperimentazioni avveniristiche con un sapore medievaleggiante od etnico.
Il brano iniziale “Två timmar över två blå berg med en gök på vardera sidan, om timmarna, alltså”, tredici minuti (oltreché di durata, anche di pronuncia del titolo, motivo per cui vi risparmio le traduzioni) aperti dal rintocco delle campane, è un fenomenale viaggio cosmico tra una pioggia d'arpeggi, un rudimentale sampling elettronico di echi, fischi, soffi e riverberi, lunghi droni di tastiere o violoncello e una magnetica melodia di violino che lentamente si svolge su un tappeto di batteria notevolmente ricco ma mai invasivo, oltreché su lente, lisergiche e smussate evoluzioni della chitarra elettrica solista, fino ad arrivare ad un inquietante break dal retrogusto folkloristico gestito da archi, sintetizzatori, tamburi e da un esoterico coro rituale maschile, per un effetto sicuramente suggestivo, preludio ad una chiusura di matrice puramente elettronica, con un utilizzo corposo del sampling, all'epoca pratica non certo diffusa quanto oggi.
Il brano fluisce coerentemente nel successivo “Det finns en tid för allt, det finns en tid då även tiden möts”, introdotto da una melodia di flauto degna d'un menestrello di qualche secolo fa e da un rumorismo pastorale da villaggio medievale (canto del gallo, voci confuse, abbaiare di cani, passaggio di carri e simili amenità) prima che lo scricchiolìo di una porta aperta ci conduca dentro una stanza in cui il ticchettio di un orologio a pendolo e le cadenza ritmiche dell'arpa a bocca scandinava annuncino un brano allucinato, da lì in poi nettamente influenzato dalla musica etnica indiana (rigurgito psichedelico-hippy non alieno a numerose altre band dell'epoca) con armonie del sitar e ritmi di tabla a dipingere intense e coloratissime atmosfere, degne di qualche trip allucinogeno (sicuramente esperienza non estranea ai sei lungocriniti musicisti svedesi), prima che una dolcissima melodia di cetra riporti la calma, ponendo fine al primo lato del disco (nel suo originario e quasi introvabile formato LP).
Tre brevi frammenti sonori caratterizzano l'inizio della seconda frazione dell'album: il primo è “Möjligheternas barn”, brano profondamente ed inconfondibilmente derivato dalla tradizione Folk nordeuropea, cantato dalla calda voce solista dell'ospite Margaretha Söderberg su uno sfondo di tintinnanti sonagli sintetici e violoncello; ancora il folk svedese si presta a fare da base in “Tristans klagan”, con battimani, tamburi, violini e violoncelli a ricreare una danza primordiale prima che si torni a sperimentare con “Viriditas”, Free-Prog con echi pianistici, un violino in loop e arpe insistenti a fare da sfondo alla recitazione maschile filtrata, una cantilena ipnotica che sposta avanti di qualche secolo l'ambientazione rispetto alle tracce immediatamente precedenti: è il prologo perfetto per i sette minuti di “Saturnus ringar”, l'unico brano in cui Jan Ternald e compagni si lasciano andare ai piaceri dell'esplosività elettrica: una continua rincorsa di assoli e melodie degne del miglior Progressive Rock, mai fini a sé stessi e sempre circondati da echi e riverberi, con un basso particolarmente indipendente in sottofondo e una batteria estremamente dinamica a dare corpo ai deliri spaziali della chitarra elettrica pluri-incisa di Dan Söderqvist.
Dopo tanta aggressività, la band torna al solito certosino ricamo atmosferico con la title-track conclusiva, cinque minuti giocati su timbri minori e scarni, che non perdono mai il controllo e finiscono per implodere su sé stessi, portando con sé i suadenti fischi elettronici, il battito del basso e i lontanissimi echi delle corde dei violini: chiusura che lascia con il fiato sospeso e crea una tensione massima, paradossalmente superiore a quella provocata poco prima dalle deflagrazioni elettriche degli anelli di Saturno.
Un disco coraggioso e personalissimo, dunque, questo “Framtiden är ett Svävande Skepp, Förankrat i Forntiden”, anche perché creato praticamente dal nulla, in quanto proveniente da un paese che all'epoca era in piena periferia musicale per quanto riguarda le sperimentazioni più ambiziose, e che solo allora iniziava a trovare una coscienza collettiva del 'proprio' Rock: gli Älgarnas Trädgård erano quindi un'eccezione di straordinaria caratura, poiché la statura musicale di un disco come questo è addirittura paragonabile a quella degli artisti Kraut-Rock tedeschi o degli sperimentatori psichedelici dei paesi anglosassoni, tra l'altro senza la limitazione d'essere una mera copia, per merito dei singolari ed inconsueti inserti di Folk autoctono e medievale.
Storicamente secondario, ma terribilmente affascinante e sicuramente curioso – una chicca da non perdere.