- Alan Parsons - Tastiere, Voce
- Eric Woolfson - Tastiere, Voce
- Ian Bairnson - Chitarra acustica, Chitarra elettrica
- David Paton - Basso
- Stuart Elliot - Batteria, Percussioni
- Elmer Gantry, Lenny Zakatek, Chris Rainbow - Voci
Con l'ausilio dell' Orchestra of the Munich Chamber Opera Care of Eberhard Schoener
1. May Be A Price To Pay (04:58)
2. Games People Play (04:22)
3. Time (05:04)
4. I Don't Wanna Go Home (05:03)
5. The Gold Bug (04:34)
6. The Turn Of A Friendly Card (16:21)
a. The Turn Of A Friendly Card (part 1)
b. Snake Eyes
c. The Ace Of Swords
d. Nothing Left To Lose
e. The Turn Of A Friendly Card (part 2)
Turn Of A Friendly Card
Non si può negare che Alan Parsons sia stato, o forse è ancora, una tra le figure più particolari e amate del panorama rock internazionale. Un artista eclettico, che ha riscosso il maggior successo a cavallo tra la fine degli anni 70 e gli anni 80. Ma chi è Alan Parsons?
Parsons nasce a Londra nel 1949, e fin da giovanissimo dimostra una grandissima passione per la musica e per le tecnologie d’avanguardia. Durante la sua carriera riesce a collezionare collaborazioni illustri, come ad esempio quella coi Beatles nella realizzazione di Abbey Road. La svolta decisiva gli viene data però nel 1973, quando collabora alla realizzazione di The Dark Side Of The Moon, capolavoro assoluto dei Pink Floyd. Egli lavorò come ingegnere sonoro e tecnico del suono. Ciò gli fruttò numerosissimi incarichi, tra cui alcune collaborazioni cinematografiche importantissime, e un ruolo di prestigio in tutta la scena musicale del periodo.
Inoltre da qui comincia l’avventura solista di Alan Parsons. Insieme al fidato amico Eric Wollfson, confeziona degli ottimi dischi di rock sinfonico sotto il nome di Alan Parsons Project, come Pyramid e I Robot. La piena maturazione arriva però con Turn Of A Friendly Card, datato 1980. Avvalendosi di una straordinaria orchestra filarmonica diretta da Andrei Powell, Parsons riesce a fondere alla perfezione due stili molto diversi tra loro, ovvero il rock più “barocco” e d’avanguardia e la musica classica. Ciò che ne viene fuori, in Turn Of A Friendly Card è un concept-album basato e incentrato sul vizio del gioco e sulle sue conseguenze sull’animo del giocatore perdente.
Un’orchestra di ottoni apre il disco: è l’inizio di May Be A Price To Pay. Il casinò sembra aprirsi, per accogliere calorosamente le sue vittime sacrificali, ammaliate da questa melodia solenne e quasi epica. Ecco che subito entrano in scena gli strumenti, tra cui spiccano il sintetizzatore e il basso, che tessono melodie quasi oniriche, che andranno a formare il tappeto per la voce. Quella calda voce di Elmer Gantry che racconta l’avanzata dei servi del gioco.
Un frenetico sintetizzatore ci introduce alla seconda canzone, Games People Play. Il tappeto stavolta è affidato a piano e batteria, mentre Lenny Zakatek ci narra come si possa morire in un casinò, grazie ai tanto famosi “giochi” presenti in esso. A metà canzone il ritmo si abbassa vertiginosamente, e sembra quasi che la cassa della batteria simuli i battiti del cuore di un giocatore, in bilico tra vittoria o sconfitta. Il pezzo si risolleva nel finale, facendoci tornare il fiato in gola. L’introduzione di pianoforte che giungerà da lì a poco ci fa subito capire che Time ha qualcosa di diverso rispetto alle precedenti. E infatti così è: si tratta di una canzone soffusa, dalle tinte chiare e dolci nella quale la voce angelica di Wollfson fa da padrone. Si tratta di una canzone molto pinkfloydiana, anche per i numerosissimi effetti sonori prodotti da Alan Parsons (in questo frangente anche cantante), e volti ad accentuare l’emotività di ogni passaggio.
Anche la successiva I Don’t Wanna Go Home è introdotta da un piano. Tuttavia in questo caso si tratta di un piano incalzante e che nel suo incedere fa scoppiare il pezzo. Il motivo orecchiabilissimo costruito da chitarre e tastiere si intona perfettamente con la linea vocale, molto suggestiva e capace di rendere alla perfezione lo stato di alienazione che si può incontrare in un casinò, sotto la morsa delle carte.
The Gold Bug è un pezzo strumentale di indubbio fascino. Il tappeto di synth prepare il terreno all’entrata di tutti gli strumenti, e in particolare del basso che traccia il vero e proprio motivo del brano. Da qui parte un funambolico sax in cerca di qualche anima da conciliare, e successivamente anche gli effetti e i cori prodotti dallo stesso Parsons. Sono proprio questi cori a chiudere la canzone, echeggiando nelle orecchie dell’ascoltatore anche dopo la fine del brano.
Da qui parte la suite del disco, ovverosia proprio The Turn Of A Friendly Card, formata da cinque parti. La prima, The Turn Of A Friendly Card (part 1), è una composizione onirica e fiabesca, basata sulla vellutata voce di Chris Rainbow, e arricchita qua e la da spunti interessantissimi come uno stupendo tema di flauto o un fraseggio di chitarra classica. Il tappeto è come sempre di synth, mentre Parsons crea degli effetti stupendi. La seconda parte, Snake Eyes, è sorretta da un buon fraseggio di basso e dalle melodie solenni di tastiera, mentre le strofe vengono ripetute incessantemente, in maniera anche un pò ossessiva. Siamo arrivati a circa sei minuti quando la terza sezione, la strumentale The Ace Of Swords, ha inizio. Si tratta di un brano barocco, che ricorda molto per maestosità qualche pezzo di musica classica, tagliente proprio come una spada. Il basso di Paton è sempre in vista, e Elliot crea con la sua batteria degli ottimi passaggi, dando un senso di forte dinamicità alla canzone. A seguire Nothing Left To Lose, cantata da Woolfson, canzone dolcissima, dotata di grande presa sul pubblico grazie ai dei cori in posizione perfetta e grande spazio alle orchestrazioni.
L’ultima sezione, The Turn Of A Friendly Card (part 2) si apre con un ottimo assolo del chitarrista Bairnson, che avrà modo di farsi notare più di una volta in questo pezzo. Il motivo iniziale è ripreso alla perfezione ed enfatizzato dall’orchestra di ottoni, portando all’apice epico il disco. Tutta la suite, che da lì a poco finirà, è il pieno testamento dell’album, prendendo spunto dalla grande scuola progressiva degli anni 70 e dalle grandi orchestrazioni della musica classica, in un rock sinfonico da applausi.
Turn Of A Friendly Card è sicuramente uno degli album migliori degli Alan Parsons Project, riuscito a creare un nuovo stile di musica, grazie alla sua sconfinata ispirazione e sensibilità musicale. La produzione del disco è ottima, tutti gli strumenti si sentono e percepiscono alla perfezione (il disco è autoprodotto).
Non crediamo ci sia nulla da aggiungere, oltre al fatto che Turn Of A Friendly Card è un album riuscitissimo, a cavallo tra decine di stili e capace di prendere l’ascoltatore fin dal primo ascolto. Consigliato a tutti coloro che amano il progressive ma non solo. Un tuffo nel mondo onirico e fantasioso di Alan Parsons.