- Joel O'Keeffe - Voce, chitarra
- David Roads - Chitarra, backing vocals
- Justin Street - Basso, backing vocals
- Ryan O'Keeffe - Batteria
1. Born to Kill
2. No Way But the Hard Way
3. Blonde, Bad and Beautiful
4. Raise the Flag
5. Bottom of the Well
6. White Line Fever
7. It Ain't Over Till It's Over
8. Steel Town
9. Chewin' the Fat
10. Get Busy Livin’
11. Armed and Dangerous
12. Overdrive
13. Back on the Bottle
BONUS TRACK SPECIAL EDITION:
14. Loaded Gun
15. My Dynamite Will Blow You Sky High (and Get Ya Moanin' After Midnight)
16. Rattle Your Bones
17. Kickin' It Old School
18. Devil's Child
No Guts. No Glory.
Fin troppo si è parlato a proposito delle analogie tra i quattro giovanissimi australiani e i ben più famosi conterranei capitanati dai fratelli Young, ma forse in molti si sono già scordati che prima di loro altri gruppi come gli svizzeri Krokus o gli americani Rhino Bucket hanno ricalcato quasi in toto il tipico sound acdc-iano. Personalmente non ci vedo niente di male se una band, specialmente all’inizio, prende come punti di riferimento dei maestri che hanno battuto un’infinità di record nella loro lunghissima carriera: è nell’indole umana imparare da chi è venuto prima.
Comunque sia, gli Airbourne (che dovranno sudare sette camicie per levarsi di dosso la scomoda etichetta di “gruppo clone”) sostituiscono gli immancabili richiami al blues, che caratterizzarono tutta la Bon Scott Era, con un velato tocco di heavy metal classico ed esaltando a mille la componente alcolica e caotica; prediligono quindi pezzi veloci e ritmati, perfetti da affiancare alla voce di Joel O’Keeffe, costantemente abrasiva come un pezzo di carta vetrata a grana grossa.
Lo splendido esordio del 2007 ottenuto con Runnin' Wild, li ha portati ad esibirsi sui palchi più importanti del pianeta, quali il Wacken Open Air o il nostro Gods of Metal, e ad andare in tournèe come spalla per diversi gruppi storici.
Con l’imminente uscita di questo No Guts. No Glory., i quattro ragazzacci hanno inoltre intrapreso un lungo viaggio promozionale in tutti gli angoli del mondo, deliziando i fan italiani con tre serate al fulmicotone fatte di pogo, sudore e lattine svuotate direttamente sulla folla, in poche parole tre date scatenate tanto quanto la loro musica.
Il secondo album in studio per la band di Warrnambool, affidato ancora una volta alle esperte mani dell’olandese Roadrunner, si apre con Born to Kill, pezzo selvaggio, dalla sezione ritmica basilare ma vincente, che mira a distruggere gli altoparlanti degli ascoltatori; paragonata però all’altra heavy opener del precedente lavoro, non regge proprio il confronto pur rimanendo un buon brano.
La posizione numero due della scaletta è occupata dal primo singolone del platter, No Way But The Hard Way, in cui i nostri ci spiegano che oramai è rimasto solo un modo per raddrizzare tutto ciò che va storto e, pensandoci bene, è anche per questo motivo che esiste il rock n’roll! La canzone si presenta perfetta, con un riff portante veramente all’altezza, un testo azzeccato e un ritornello vivace e coinvolgente.
Dopo questo incipit un po’ barbaro, anche per gli Airbourne è tornato il momento di parlare del genere femminile e lo fanno con la simpaticissima Blonde, Bad and Beautiful, prossima sicura single-track che strizza l’occhio all’U.S. metal, stile Hardline o Kane Roberts, cosa che infatti li porta giustamente ad aggiungere qualche nota pop al loro sound solitamente grezzo e schietto.
Da questo punto in poi però, le idee cominciano a scarseggiare e poche canzoni emergono dalla mischia. Fra queste c’è Steel Town, gradevole brano dedicato alla laboriosa terra d’origine, così come Get Busy Linvin’ di cui è apprezzabile il groove scanzonato e spensierato, soprattutto nel refrain.
La successiva Armed and Dangerous, contenente una quantità spropositata di “deliziosi” doppi sensi, grazie anche al cambio di velocità nel finale, verrà apprezzata molto in sede live. Con Overdrive finalmente si risente anche il basso di Justin Street che, insieme ad una buona prova del vocalist (molto alla Joe Elliott dei tempi di High N’ Dry), fanno di questa traccia una delle più affabili dell’intero lotto.
Arrivati a questo punto, alcune considerazioni sono necessarie perché altrimenti si corre il rischio di considerare le rimanenti tracce tutte poco valevoli. Così non è affatto poiché ciascuna è eseguita con la tecnica necessaria e la solita meravigliosa grinta, ma ahimè difettano di un qualcosa che aveva reso ottimo almeno il 90% di Runnin' Wild. Volendo essere pignoli, è possibile rintracciare alcune cause:
1) la mancanza di un dualismo fra il cantante tuttofare ed un altro componente si fa sentire sia nella musica che nell’immagine, poiché mette troppo in ombra le possibili esibizioni degli altri (bisogna anche dire che cose come il Duck Walk di Angus non si inventano di punto in bianco).
2) il songwriting in alcune parti è veramente troppo ripetitivo e l’inutile Back on the Bottle ne è l’esempio calzante.
3) infine, il timbro vocale di Joel è un eccezionale copia-incolla in molte occasioni e lo stesso discorso vale per i cori. Lungi da me proporre un passaggio verso pezzi lenti e sdolcinati che probabilmente rovinerebbe tutto quello di buono che hanno realizzato fin’ora, ma introdurre qualche effetto o variazione, come accaduto nella terza traccia, porterebbe senz’altro effetti benefici.
Tutto quello che è stato appena detto è ampiamente trascurabile se siete alla ricerca di futtutissimo rock'n'roll vecchio stampo da spararsi in una selvaggia serata fra amici.
Per i più afecionados è disponibile, ancora per un po’ di tempo, la Special Edition comprendente altri cinque brani, tutti nuovamente di livello normale, esclusione fatta per la punkettara Kickin' It Old School che almeno si discosta leggermente dalle altre. Da annotare il booklet e la grafica interna, entrambi favolosi, ma l’involucro di cartone potrebbe rovinare l’intero acquisto.
Insomma, la legge del secondo album anche stavolta si riconferma affidabile, ma gli Airbourne hanno dalla loro parte la giovane età ed una carica esplosiva eccezionale, fattori che non possono portare altro che buoni frutti.