- Don Anderson - chitarra
- John Haughm - voce, chitarra
- Jason William Walton - basso
- Shane Breyer - tastiera
1. She Painted Fire Across the Skyline - Part 1 (08:35)
2. She Painted Fire Across the Skyline - Part 2 (03:09)
3. She Painted Fire Across the Skyline - Part 3 (07:09)
4. The Misshapen Steed (Strumentale)(04:54)
5. Hallways Of Enchanted Ebony (09:59)
6. Dead Winter Days (07:51)
7. As Embers Dress The Sky (08:04)
8. The Melancholy Spirit (12:25)
Pale Folklore
Il gruppo statunitense degli Agalloch approda davanti al pubblico internazionale sfornando nel 1999 l’ottimo full-lenght di debutto Pale Folklore, che riassume già nel titolo il sound caratteristico della band: pur essendo originari dell’Oregon, gli Agalloch puntano a composizioni fredde e desolate, tipiche delle sperdute lande scandinave, fondendo il Folk nordico a toni Doom/Gothic Metal, in un insolito e coinvolgente connubio musicale. La nuova realtà americana si inserisce nel panorama europeo, dimostrando grande abilità nell’impiego delle chitarre acustiche, che accompagnano l’intero disco: come le tastiere atmosferiche, sono proprio tali strumenti a garantire l’approccio diretto dell’album verso gli ascoltatori, intrecciandosi in passaggi complessi e oscuri.
Pale Folklore è un’opera molto omogenea, in cui ciascuna delle otto tracce rappresenta una parte del sentiero che conduce verso il gelo dell’inverno, periodo di sprofondata solitudine. Tale abbandono esistenziale viene tradotto dalla band di Anderson e Haughm nella monumentale She Painted Fire Across the Skyline, frammentata in tre parti.
La capacità compositiva degli Agalloch si percepisce particolarmente nei periodi ritmati e nei graffianti riffs della chitarra elettrica, che disegnano continui assoli in un vortice carico di decadente emotività. Haughm appare solo al centro della prima parte, con una voce sospirata e penetrante, arricchita da suoni lirici femminili di sottofondo, prima di sfociare in uno screaming raffinato e ben interpretato. L’espressività riesce ad emergere non solo dai toni disperati e toccanti della voce, ma anche dalle riprese di tempo appassionanti: l’ascoltatore sopito, poiché cullato dai soffi del vento e di Haughm, si risveglia nell’alone di mistero che circonda il paesaggio invernale.
Prima buia e successivamente operistica è The Misshappen Steed, strumentale di grande impatto emotivo, che si articola con chiarezza attraverso le spruzzate di pianoforte e la maestosità del Dark-Wave. Costituisce un momento di rottura tra l’avvio ghiacciato dell’album e il successivo sviluppo più aggressivo ma sognante.
Arpeggi di chitarra posti parallelamente ad un riff di batteria di puro accompagnamento e ad una voce straziante contraddistinguono Hallways of Enchanted Ebony, forse il pezzo più valido e meglio costruito di tutto Pale Folklore, strutturato perfettamente nei costanti assoli sempre puntuali e nelle risposte fluide e scorrevoli delle chitarre.
Sia il ritmo trascinante sia i duetti delle acustiche di Dead Winter Days trasportano con loro lo sconforto della band americana, profondo e radicato in ciascuna nota: l’evoluzione di tale traccia è sorprendente poiché, pur ripetendo lo stesso tema all’infinito, questo risulta sempre variato ed impreziosito da effetti stilistici di notevole rilievo.
As Embers Dress the Sky raffigura il preludio al futuro discografico della formazione statunitense, in quanto il clean in coro malinconico e perduto si accosta ad uno screaming tagliente e più violento del precedente. Ogni brano subisce numerosi mutamenti al suo interno, pur mantenendo la stessa linea melodica, avvicinandosi agli elementi tipici di celebri gruppi scandinavi come gli Opeth, per il sapiente utilizzo delle acustiche.
Inaspettati sono gli interventi della voce lirica femminile, riconducibile alla quarta traccia, The Misshappen Steed, meno fredda e più teatrale: l’approccio è uguale, cioè si cerca di porre le basi per una rottura improvvisa; la costruzione di un intermezzo strumentale tra il fusion e il metal estremo fa giungere a livelli di sicurezza compositiva elevatissimi, prova di smisurata maturità musicale. Tale capacità perviene intatta sino al finale lento e colossale con The Melancholy Spirit, di dodici minuti di lunghezza.
Vive influenze dai Katatonia si fanno largo tra l’atmosfera nordica e i rimaneggiamenti tipici dei primi Ulver, creando un sound completamente personale, pacato e cupo, ma aperto a distensioni melodiche oniriche e musicalmente innovative.
Le soluzioni stilistiche presentate in questo Pale Folklore sono innumerevoli e sono le testimonianze più accese di un percorso tutto in discesa per la formazione dell’Oregon, poiché solo pochi altri gruppi possono competere nel panorama Gothic/Doom internazionale: insomma un album completo, ricco di componenti fondamentali per analizzare una futura evoluzione del genere, non più legato ai comuni stilemi, ma in grado di percorrere meandri ancora sconosciuti.