- Don Anderson - chitarra
- John Haughm - voce, chitarra, batteria
- Jason William Walton - basso
1. Limbs (09:51)
2. Falling Snow (09:38)
3. This White Mountain on Which You Will Die (01:39)
4. Fire Above, Ice Below (10:29)
5. Not Unlike the Waves (09:16)
6. Our Fortress Is Burning... I (05:25)
7. Our Fortress Is Burning... II - Bloodbirds (06:21)
8. Our Fortress Is Burning... III - The Grain (07:10)
Ashes Against The Grain
L’eterno The Mantle ha rappresentato nel 2002 il tassello della svolta per gli americani Agalloch, l’opera che ha contribuito a promuovere e a far conoscere il terzetto di Portland in molte aree del globo. La The End Records ha parecchio sostenuto la band in questa delicata scalata verso un successo che, seppur di medie dimensioni, si può considerare importante e meritato: la stessa casa discografica ha perciò creduto in Don Anderson e compagni anche in occasione della registrazione del terzo full-lenght, dopo aver prodotto, tra il 2002 e il 2006, diversi ep che avevano reso scettico il pubblico internazionale riguardo le nuove sperimentazioni in casa Agalloch.
Il sound ricercato dai tre musicisti dell’Oregon è però in costante evoluzione poiché regola vuole che l’abile compositore si distanzi sempre dai lavori precedenti: così è nato Ashes Against The Grain, un album che sarebbe riduttivo definire sperimentale, poiché riscopre tutte le influenze dei precedenti Pale Folkore e The Mantle ed aggiunge toni mai esibiti all’interno della sfera musicale degli Agalloch.
Pur conservando la matrice Dark Folk dei platters precedenti, Ashes Against The Grain si spinge oltre, andando ad abbracciare meandri Post Rock e Black Metal, riunendo sotto l’etichetta Dark Progressive Metal il genere interpretato dalla formazione: anche tale termine potrebbe risultare ingannevole e fuorviante per l’ascoltatore inesperto della dimensione Agalloch, fatta di atmosfere malinconiche, di paesaggi invernali dimenticati e desolati, di immagini sbiadite da ammirare in tutto il loro gelido fascino.
Le otto tracce di Ashes Against The Grain garantiscono esattamente un’ora di musica all’insegna di soluzioni inedite e per questo difficili da comprendere nella loro complessità al primo impatto. Tanti elementi sono variati nel metodo di composizione e di impostazione timbrica del terzetto: Haughm presenta uno scream più glaciale di quello esibito nei precedenti full-lenghts, la chitarra acustica si scava un ampio spazio in ogni brano, andando ad abbracciare generi musicali non necessariamente Folk, la produzione dell’album esalta le architetture delle diverse chitarre che Anderson impiega, la batteria appare più varia e meglio amalgamata alla composizione.
Ciò che spiazza l’ascoltatore al primo contatto con Ashes Against The Grain è la sua scarsa immediatezza: ogni episodio è aperto da strutture introduttive non banali, che conducono verso l’evoluzione vera e propria del pezzo, anche attraverso il largo uso di interruzioni atmosferiche e silenzi in cui la chitarra acustica domina incontrastata.
Inizia da Limbs il viaggio nelle terre del Nord degli Agalloch e da subito si possono percepire le innumerevoli influenze che permeano il platter. Un Don Anderson sempre maggiormente amante delle sonorità Post Rock/Metal e Avant-garde di Isis, Pelican e Jesu riesce a tessere un nuovo stile collegandolo ai mistici arpeggi Dark Folk che già riecheggiavano in The Mantle, carichi di un nuovo ed inaspettato sapore medievale.
Meno elaborata di Limbs è la seconda Falling Snow, anch’essa ben sviluppata nelle sue parti di chitarra e ottimamente calibrata nella serie di temi melodici su cui si imposta l’agghiacciante voce di Haughm. Il ritmo veloce qui creato viene spezzato dalla terza traccia, un brevissimo intervallo di synth alquanto inutile, denominato This White Mountain On Which You Will Die, che trasporta verso la lunga e, seppur a tratti, medievale Fire Above, Ice Below. Quest’ultima non stonerebbe sul bellissimo The Mantle, poiché la serie di cori in clean proposti forma un alone onirico, rilassante e meditativo, proprio dell’acustico predecessore.
Il quinto capitolo di Ashes Against The Grain rappresenta il pezzo migliore del lotto: Not Unlike The Waves è eccezionale nel suo tono avvolgente e massiccio, più legato a rivisitazioni mid-tempo di sonorità Metal estreme ma costantemente pervaso dei cromatismi acustici Folk. Maggiormente connesso all’album di debutto Pale Folklore e quindi al tipico primo sound di Ulver e In The Woods…, esso si stende per ben nove minuti di durata, includendo al suo interno tutto ciò che caratterizza lo stile personale ed originale degli Agalloch.
La seconda parte, nonché conclusione, del full-lenght è affidata ad Our Fortress Is Burning, divisa come la storica She Painted Fire Across the Skyline in tre tracce, parecchio distanti l’una dalle altre nelle proposte sperimentali: se I è percorsa da un’atmosfera Dark Folk delicata e decadente al tempo stesso, creata con magia e maestria dal perfetto uso delle acustiche, II - Bloodbirds riesce a tramutare la composizione in un avvolgente alone Post Rock, memore delle sonorità più soffocanti degli odierni Isis. Anche la vera e propria chiusura, III - The Grain, appare alquanto influenzata dalle scelte musicali di gruppi Post Rock quali Godspeed You Black Emperor!, permettendo quindi di far assumere ad Ashes Against The Grain una forma poliedrica e variegata.
Pur essendo meno omogeneo al suo interno, il terzo disco degli Agalloch raffigura un nuovo esempio di cosa significhi comporre con razionalità, attraverso un’attenta ricerca stilistica. Pertanto Ashes Against The Grain diventerà appetibile ed apprezzabile nella sua compattezza e complessità solo dopo numerosi ascolti, poiché lontano dall’essere così diretto o così gelido come i due predecessori. Forse gli Agalloch avrebbero potuto migliorare alcuni accorgimenti, quali l’inserimento dell’intermezzo di synth o l’eccessivo minimalismo dell’episodio finale, ma il risultato è allo stesso modo più che soddisfacente.