AA. VV.
BLUE WILLA |
Fishes |
UnePASSANTE |
Emotional Countdown |
KING OF THE OPERA |
Nine-legged Spider |
KILL THE NICE GUY |
Closed |
BAD APPLE SONS |
Caracollo |
GRANPROGETTO |
Un Esperimento |
WALKING THE COW |
Rorschach Hands |
THE VICKERS |
You Talk Too Much |
THE HACIENDA |
Last Bus On The Way |
VELVET SCORE |
Pictures Of Summer |
UNDERFLOOR |
Solitari Blu |
LA DUMA |
La Scelta è Tragica |
PLASTIC VIOLENCE |
Ghost Nation |
KA MATE KA ORA |
My Psychedelic Teacher |
KARL MARX WAS A BROKER |
Teletubbie |
MANGIACASSETTE |
Sangue |
TRIBUNA LUDU |
Frattaglie |
DILATAZIONE |
Marx On Mars |
The Next Wave
The Next Wave con la sua didascalia ‘una raccolta sulla nuova scena fiorentina’ fa simpatia già solo a leggere la copertina, ancor prima di sondarne i contenuti e di leggere, nel booklet interno, le note di Elena Raugei, ‘the mind’ dell’operazione ed importante firma della stampa musicale italiana.
Perché l’intento è chiaro: la prossima onda è quella che ci sarà ma anche quella che potrebbe non esserci poiché quello che è stato uno dei semi del rock italiano indipendente, cioè la scena new wave fiorentina degli anni ’80, non deve (e non può) più essere il masso che spinge giù in un inutile confronto su ‘ciò che è stato’ per poi trovare giustificazioni al perché del ‘rock che è morto’ o è morente, che in Italia manca una cultura del rock come i relativi spazi e così via… storie che sentiamo da decenni e che non portano da nessuna parte anche perché non più attuali. Forse le parole della stessa Elena semplificano il concetto quando dice ‘la musica, per fortuna è andata avanti’. Quindi già l’ironia che traspare dal titolo sembra un ottimo biglietto da visita.
Altro deus ex-machina dell’operazione è Andrea Sbaragli di A Buzz Supreme che ha reso possibile l’operazione con l’idea più vecchia e più nuova che possa esserci nelle musiche che ascoltiamo: l’autoproduzione totale, mezzo che permette alle bands di muoversi liberamente nei circuiti e nei canali che vogliono essere ricettivi e aderire ad essi senza troppi compromessi.
I 18 brani che compongono la raccolta rappresentano lavori già usciti, versioni alternative o anticipazioni di nuovi albums a venire e sono un po’ lo stato dell’arte della scena musicale toscana.
I Blue Willa (ex Baby Blue) prodotti da Carla Bozulich ed unePassante aprono le danze ed indicano nuove strade più espressioniste al post-punk. Altra importante presenza sono i King of the Opera (ex Samuel Katarro, che abbiamo avuto modo di apprezzare qualche mese fa al loro debutto internazionale al Barcelona Primavera Sound) con il loro art-rock totale mentre I Kill The Nice Guy propongono un indie nervoso, tirato e finalmente ‘femminile’, in opposizione a questa manìa delle ‘cantantesse’ folk che sembra andare per la maggiore.
Si ritorna all’inglese con i Walking The Cow, band di più ampio respiro rispetto ad un possibile panorama internazionale poiché propone un brano che ibrida certo indie-pop con cadenze folk mai troppo introspettive e ci lascia piacevoli suggestioni vissute intorno alla metà degli anni novanta con le migliori indie bands statunitensi femminili ed anche i The Vickers sembrano essere positivamente infettati dalla stessa solarità dell’indie dai colori pastello di quel periodo.
The Hacienda poi conquistano prepotentemente il titolo tra i migliori della lista con i loro frizzanti riff garage fusi a ritornelli alla At Drive-in non da tutti, giocandosela con i successivi Velvet Score forti di una vena melodica pulitissima e veli di malinconia estiva a iosa (possono ricordare degli Amor Fou in inglese ed è un complimento!).
Ad eccezione di Mangiacassette, che è assimilabile a certo indie italiano sulla stessa lunghezza d’onda di Brunori Sas e dei Tribuna Ludu, wave con accenni gotici e industrial senza chitarra che piacerebbe sia ai fans dei CCCP che degli oVo, forse sono gli altri brani cantati in italiano a risultare più deboli.
La traccia dei Bad Apple Sons per esempio, pur godendo di buona struttura ed intuizioni forse finisce per pagare un po’ troppo un tributo ‘marleniano’ , soprattutto in certi passaggi vocali simili a quelli del Godano mentre i GranProgetto, gli Underfloor e La Duma non lasciano troppo un segno di sé con i loro brani non sufficientemente penetranti: non bastano belle code rock o viole evocative che fanno capolino ad evitare certe sensazioni di deja vu, cioè quell’inclinazione all’italico vizietto di ‘cantarsi addosso’ in una ricerca di intimismo poetico a volte un po’ estenuante, sia nei toni che nelle liriche.
Ci sono poi i Plastic Violence con i loro soundscapes decadenti, i Ka Mate Ka Ora che cavalcano il riflusso shoegaze, i Karl Max Was A Broker con i loro accenti math ed infine i Dilatazione con la loro (disco)wave mutante tutta synth e fiati.
Lunga vita dunque a questo tipo di operazioni che senza farsi affossare da esso, sono comunque un ‘memento’ dei bei tempi in cui giravano le compilation su cassetta, quelle che non ponevano barriere tra generi e quindi permettevano di conoscere ciò che c’era in giro con rischio noia uguale a zero.