- Jyrki - voce
- Bazie - chitarra
- Timo-Timo - chitarra
- Archzie - basso
- Jussi 69 - batteria
1. Framed in Blood
2. Gothic Girl
3. The Chair
4. Brandon Lee
5. Velvet Touch
6. Sleeping with Lions
7. Angel on my Shoulder
8. Stolen Season
9. Wages of Sin
10. Graveland
11. 30
Blessed Be
I 69 Eyes sono una band gothic metal ormai esplosa quando nel 2000 esce Blessed Be. Il full-length realizzato grazie alla Roadrunner dal punto di vista stilistico rappresenta la conferma di un sound rinnovato rispetto a quello del lontano 1992, anno di formazione del combo finlandese. La loro musica è poi quanto mai assimilabile a quella dei compatrioti Sentenced e HIM. Insieme infatti costituiscono sicuramente la realtà musicale più celebre del paese scandinavo.
Tornando all’album, esso si presenta subito all’ascoltatore fin dalla prima track, Framed in Blood, con le sue caratteristiche principali. Il vocal innanzitutto è sempre quello dell’inconfondibile Jyrki che impronta pesantemente tutto il gruppo con un timbro vocale molto profondo, maturo, possente.
Il riffing delle chitarre è semplice e d’effetto per quanto riguarda la prima delle due, che si occupa della parte ritmica, e coinvolgente la seconda che si occupa della linea melodica. Le coadiuvano inoltre addizionali keyboards che si inseriscono più o meno in modo diffuso in ogni track.
Le liriche parallelamente toccano spesso nei 69 Eyes tematiche d’amore e anche questo album si allinea a tale tendenza. Pioggia, baci nell’oscurità. Sono questi appunto gli elementi che costellano l’album.
“…just like a gothic girl lost in the darken world”: Gothic Girl, seconda track, è sicuramente una delle più famose song per il quintetto finlandese. Il tenore generale si staglia su sensazioni positive che variano tra mistero, dolcezza e felicità. I riff sono sempre carichi di energia e creano con Jyrki un insieme molto affascinante.
Con la terza track si arriva ai pezzi forti dell’opera. The Chair, Brandon Lee, Velvet Touch, Sleeping with Lions, costituiscono la parte che di sicuro regala più emozioni al pubblico e quindi grazie alla quale la band ha riscosso un buon successo. I brani si allungano tutti intorno ai quattro minuti, come la maggior parte, se non tutte le canzoni del gruppo, e ognuna di esse contribuisce, con i suoi toni, con le proprie emozioni, a innalzare decisamente la portata dell’album. Con il primo ci si cala in un’atmosfera piena di sfumature con sussurri (“Just Walk away from these dreams”), misteriosa e onirica grazie al suo intro di chitarra. La successiva track si ricollega invece al capolavoro cinematografico, The Crow (1994) con il rinomato Brandon Lee, nella parte dell’attore protagonista; e da qui il titolo della song. Temporali in sottofondo richiamano chiaramente l’ambientazione della pellicola dark/thrash. Le chitarre si assumono anche qui il compito di dare inizio alle danze, con delle interessanti soluzioni melodiche. “I’m looking at you, i’m looking for love”. In Velvet Touch il vocalist dimostra il massimo delle sue capacità e qualità con toni graffianti e potenti che si fondono in modo sicuro e convincente con un quadro strumentale domato da guitars fortemente distorte. A seguire si ha poi, come sesta track, Sleeping with Lions, brano più indefinito, nel senso che è privo dell’atmosfera cupa dei precedenti pezzi (“you’ve been dreaming of silence”). Da notare il solo finale che non è sempre scontato nel combo scandinavo, ma che al contrario è una pratica piuttosto rara, del resto in perfetto stile gothic.
Con Angel on My Shoulder e l’ultima track, 30, abbiamo una parabola non propriamente discendente, ma per lo meno non crescente, che si ripete sugli stessi toni delle prime due songs del full-length. Sono invece da analizzare Stolen Season, per uno stile rimbombante, etereo. Il vocal poi qui varia e si alza un po’ creando un effetto molto dolce (“i don’t care if i die as long as i can have you by my side”). E’ un esempio elegante di gothic malinconico e accattivante.
Wages of sin, nona track, ritorna quindi su toni misti provocazione-rilassamento, con particolare attenzione al refrain che, dopo la seconda esecuzione, precede un’esplosione di chitarra ed effetti elettronici. Decima track è questo punto Graveland; si sviluppa inizialmente su toni molto bassi, disegnando un’affascinante atmosfera underground, salendo poco a poco verso una parte centrale che non aggiunge però nulla alle caratteristiche già enunciate del full-length.
I 69 eyes con Blessed Be sfornano una buona opera, ricca di spunti, energica, ma anche riflessiva in più punti. L’unica carenza è la ripetitività di alcune track, che appesantiscono un po’ l’ascolto in certi punti.