Voto: 
8.4 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Durtro/Jnana
Anno: 
2006
Line-Up: 

David Michael [David Tibet] – Voce, Chitarra

Steven Stapleton
Michael Cashmore – Chitarra, Basso
Ben Chasny – Chitarra
William Breeze – Viola
John Contreras – Violoncello
William Basinski
Amy Phillips

Guests:
Marc Almond – Voce
Antony – Voce, Pianoforte
Bonnie “Prince” Billy – Voce, Banjo, Tamburo
Ida Mercer – Violoncello
Andria Degens – Voce, Armonica a bocca
Baby Dee – Voce, Arpa
Cosey Fanni Tutti – Voce
Clodagh Simonds – Voce, Harmonium, Cetra
Shirley Collins – Voce
Iris Bishop – Concertina


Tracklist: 

1. Idumæa [Vocals: Marc Almond]
2. Sunset (The Death of Thumbelina)
3. Black Ships in the Sky
4. Then Kill Cæsar
5. Idumæa [Vocals: Bonnie "Prince" Billy]
6. This Autistic Imperium Is Nihil Reich
7. Dissolution of 'The Boat Millions of Years'
8. Idumæa [Vocals: Baby Dee]
9. Bind Your Tortoise Mouth
10. Idumæa [Vocals: Antony]
11. Black Ships Seen Last Year South of Heaven
12. Babylon Destroyer
13. Idumæa [Vocals: Clodagh Simonds]
14. Black Ships Were Sinking into Idumæa [Vocals: Cosey Fanni Tutti]
15. Beautiful Dancing Dust [(Vocals: Antony]
16. Idumæa [Vocals: Pantaleimon]
17. Black Ships in Their Harbours
18. Idumæa [Vocals: David Tibet]
19. Black Ships Ate the Sky
20. Why Cæsar Is Burning, Pt. 2
21. Idumæa [Vocals: Shirley Collins]

Current 93

Black Ships Ate the Sky

Era tempo.
Sei anni anni erano passati dall’ultimo full-length di Current 93, e l’attesa per questo nuovo disco si faceva sempre più insostenibile, fra raccolte, EPs, ristampe e palliativi vari: ma finalmente, ad inizio 2006, arriva la pubblicazione di “Black Ships Ate the Sky”, nuovo capolavoro della storica band britannica.

David Tibet, la mente e il cuore dietro a questo progetto, dimostra per l’ennesima volta di essere un artista come pochi se ne trovano nel panorama musicale odierno, un visionario che riesce a suonare sperimentale e tradizionale nello stesso momento, un maestro che sa circondarsi di nuovi discepoli come richiamare vecchie conoscenze e nomi storici, creando un ensemble di valore straordinario.
La line-up di questo disco è infatti impressionante, con tantissimi vocalists ospitati lungo tutto il corso del disco, ognuno dei quali va ad interpretare e personalizzare il brano-chiave di questo lavoro, “Idumæa”, un inno che risale a fine ‘700, originariamente scritto dal fratello del fondatore della chiesa Metodista.
E così ognuna delle otto (nove, considerando anche “Black Ships Were Sinking into Idumæa”) versioni della song, viene caratterizzata da un sapore particolare grazie alle diverse interpretazioni dei cantanti e ai diversi arrangiamenti, offrendo all’ascoltatore un’esperienza ogni volta completamente nuova eppure perfettamente conosciuta: un meraviglioso, paradossale caleidoscopio musicale che tiene unito, come un meraviglioso collante, questo nuovo platter.
Per finire le note di cronaca, al fianco di David rimangono gli insostituibili compagni Steven Stapleton (degli storici Nurse With Wound), Michael Cashmore (con cui David iniziò a scrivere questo disco, 4 anni fa) e Willam Breeze (dei Coil), mentre si aggiungono le new-entries John Contreras (al violoncello) e Ben Chasny (dei Six Organs of Admittance, anche lui alla chitarra).

E ora, Musica.
“Black Ships Ate the Sky” si assesta sulle coordinate che hanno fatto grande Current 93 negli anni ’90, riproponendo quell’Apocalyptic Folk dimesso, ma che colpisce in profondità; un disco che si rifà a quei giochi acustici, spogli eppure rigogliosi, cui va il merito per l’atmosfera magica ed onirica che si respira ascoltando il cd; un disco composto da quelle musiche introspettive e toccanti che hanno segnato i cuori e le menti di tanti fans di Tibet.
E con questo disco l’inglese ritrova una genialità che era leggermente sfiorita negli ultimi tempi, la rinnova, la nutre, e la utilizza per sfornare un disco che se la gioca ad armi pari con capolavori quali “Thunder Perfect Mind” o “All the Pretty Little Horses” – insomma, David ha trovato il jolly vincente ad un punto della propria carriera in cui molti colleghi preferiscono vivere di rendita. Lui no, si rimette in gioco, proprio quando sembrava che dovesse anch’egli cadere, e con un guizzo da grande artista, consegna al basito ascoltatore un capolavoro di rara bellezza.

La bellezza che potete sentire sia nelle dolci e squisite chitarre acustiche di “Sunset (The Death of Thumbelina)” o di “Why Cæsar Is Burning, Pt. 2”, sia nell’acidità rumoristica della title-track o di “Black Ships in Their Harbours”. Per non parlare di come l’ospite Antony Hegarty ( che, ricordiamo, fu ‘scoperto’ da Tibet, prima di essere poi ‘lanciato’ anche da artisti del calibro di Lou Reed) riesca a farci commuovere con i sessanta secondi di “Beautiful Dancing Dust”, di solo piano e voce, che ci riporta ai timbri delicati di “Soft Black Stars” (1998). Lo stesso Antony ci presenta una delle versioni più particolari di “Idumæa”, da lui cantata interamente a cappella – fra le altre versioni, dopo una cernita durissima, sono degne di particolare menzione la sentita interpretazione “celticheggiante” di Clodagh Simonds (li ricordate i meravigliosi Mellow Candle? ecco, è lei!), quella profonda e elegante di Marc Almond, quella rarefatta, in punta di labbra cantata da un menestrello dei nostri giorni come Bonnie Prince Billy e quella invece di un vero e proprio pezzo di storia della musica folk (la veterana Shirley Collins) in chiusura.

Come mio solito, ho già parlato fin troppo, la chiudo qui: “Black Ships Ate the Sky” è uno dei dischi dell’anno.
David è tornato.
Era tempo.

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