Voto: 
10.0 / 10
Autore: 
Arwen
Etichetta: 
Warner Bros
Anno: 
1968
Line-Up: 

- Jerry Garcia - chitarra solista, chitarra acustica, kazoo, vibraslap
- Bob Weir - chitarra ritmica, chitarra 12 corde, chitarra acustica and kazoo
- Ron McKernan - organo, celesta
- Phil Lesh - basso, tromba, clavicembalo, guiro, kazoo, pianoforte, timpani
- Mickey Hart, Bill Kreutzmann - batteria, campane, gong, carillon, crotali, pianoforte, cembali
- Tom Constanten - pianoforte

Tracklist: 

1. That's It For the Other One (7:46)
- Cryptical Envelopment
- Quodlibet for Tenderfeet
- The Faster We Go the Rounder We Get
- We Leave the Castle
2. New Potato Caboose (8:18)
3. Born Cross-Eyed (2:04)
4. Alligator (15:17)
5. Caution (Do Not Stop on Tracks) (5:32)

Grateful Dead

Anthem of the Sun

Anthem of the Sun è un’esplosione di suoni anomali, uno dei dischi che meglio rappresenta l’essenza della psichedelia; un inno al sole, uno scroscio di visioni colorate e libere, in cui si incontrano fiori,nuvole,uomini,sole,morte, senza nessuna censura di coscienza o di intellettualità, immagini che sono suggerite dai testi brevi,significativi e spesso privi di un senso univoco,ma soprattutto rappresentate dai suoni unici contenuti in questo cd.
Nel 1968 quella dei Grateful Dead, affiancata a Doors e Jefferson Airplane principalmente, è una vera e propria svolta nel panorama musicale dell’epoca. Nella loro produzione creano un clima sognante-spesso musa ispiratrice gli acidi-capace di rendersi scherzoso, articolato, evasivo e anche malinconico in alcuni tratti. Una scelta di strumenti originale e ricca, comprendente celesta, kazoo, crotali, cembali e campanellini assortiti, riproduce atmosfere particolari e che personalizzano fortemente la band.

That’s It For The Other One
, prima imperdibile track, è divisa in quattro capitoli che ne sottolineano l’importanza e guidano attraverso i 7 minuti della song, con variazioni di un’idea comune a tutto il brano, geniali e magistralmente interpretate dalla formazione dell’epoca. Forse questa fu la migliore fra le varie combinazioni del gruppo, comprendente ancora il grande tastierista-purtroppo membro del “club dei 27”-Ron”Pigpen”McKernan e Jerry Garcia come storico chitarrista, indicato spesso come leader indiscusso anche se la band teneva molto al suo spirito unitario. Con la prima canzone inizia un viaggio folle e visionario, con cambi repentini, guidati da assoli e riprese del tema, e spazi rilassati che lasciano il posto ad una nuova rivisitazione della melodia, sempre più distorta, sempre più confusa, chitarre e campanelli che si intrecciano sovrapponendosi, invitando ad abbandonarsi ad un ascolto libero, fino alla conclusione che sembra quasi improvvisata nel suo caotico -ma allo stesso tempo coeso- accostamento di suoni. Si creano atmosfere rilassate e meditative che mutano in concitate rincorse di immagini evanescenti e colorate, sconnesse e contrastanti tra loro.
Più rilassante e tranquilla nella prima parte la successiva New Potato Caboose, “all graceful instruments are known”, e a giudicare dalla performance non possiamo che dare ragione alla band; giri spensierati delle chitarre, che concludono magnificamente il pezzo affiancate dalla tastiera e dalle percussioni. Riprende più concitata Born Cross Eyed, breve ma divertente nelle sue soluzioni, come sarà anche l’inizio della stupenda Alligator, dove la stessa melodia è ripresa quasi subito accompagnata dal riconoscibile e ironico suono del kazoo, che con un ritmo altalenante introduce a parti più impegnative. In un geniale passaggio si seguono ipnotizzati i ritmi scanditi dal suono esotico e rumoroso della raganella, poi ancora assoli di chitarra con tastiera frenetica di sottofondo, a sfumare in un finale vario con intermezzi della voce quasi a risposta degli strumenti. Un unico effetto distorto non poteva che concludere questo capolavoro; come i sintomi postumi di un’ubriacatura, in Caution(Do Not Stop On Tracks) si sentono sprazzi di colore e follia, non più nitidi ma quasi incoscienti, effetti che si prolungano apparentemente incontrollati e riecheggiano come improvvisati al momento dell’ascolto. La creazione di queste atmosfere uniche era alla base del live, sempre fondamentale nella psichedelia, il concerto rappresentava un’esperienza di suoni irripetibili e sognanti in condivisione fra la band e il pubblico, idea che porterà alla creazione di una vera e propria cultura psichedelica basata su un forte senso di comunità,ampiamente diffusa dai Deadheads, storici fans del gruppo.

Ma è la validità di questa musica anche fuori dal suo contesto originario che la conferma come apprezzabile e ispiratrice per sempre della sua follia spensierata, colorata e contemplativa; è una spirale che attrae sempre di più al suo interno, fatta di suoni gioiosi e allo stesso tempo malinconici nella loro fragilità e mutevolezza ( I'm the only one left darlin’/bout the time the sun rises west/ feelin' groovy/ lookin' fine). E’ il testamento di un’utopia, che cercava manifestazioni totali e appaganti dei suoi principi, frenati allora come oggi da limiti sociali ed economici; un ottimismo disilluso che lascia parte della propria realizzazione nelle mani dell’ascoltatore, rendendosi espressione ultima di ideali liberi e creativi.

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