- Jonas Renkse - voce, programmazione della chitarra
- Anders Nyström (Blakkheim) - chitarra, tastiera, programmazione
- Fredrik Norrman - chitarra
- Mattias Norrman - basso
- Daniel Liljekvist - batteria e percussioni
1. Ghost of the Sun (04:07)
2. Sleeper (04:08)
3. Criminals (03:47)
4. A Premonition (03:33)
5. Will I Arrive (04:09)
6. Burn the Remembrance (05:22)
7. Wealth (04:22)
8. One Year From Now (04:02)
9. Walking By A Wire (03:32)
10. Complicity (04:01)
11. Evidence (04:36)
12. Omerta (02:58)
13. Inside the City of Glass (04:08)
Viva Emptiness
Ogni uscita discografica dei Katatonia trasporta con sé atmosfere particolari, immerse in un sound oscuro e tetro, caratteristico del Rock depressivo esibito dal sempre più sorprendente quintetto svedese. Viva Emptiness è un’ulteriore evoluzione dei lavori precedenti, il culmine raggiunto dal gruppo in tanti anni di carriera musicale, un album che riassume tutti gli elementi del registro compositivo della band. Gli strumenti portanti, come al solito, sono le due chitarre e la batteria, ma, a differenza di Tonight's Decision o di Last Fair Deal Gone Down viene sperimentata l’elettronica, seppur in piccola misura, che porta ciascuna delle tredici canzoni ad assumere tratti Alternative, costruendo toni avvolgenti e a tratti misteriosi, oltre che inquietanti.
La validità dell’opera è da ricercare nella sua struttura: Viva Emptiness è un concept studiato attentamente dai Katatonia, ma le tracce, pur essendo concatenate fra loro, riescono ad assumere un valore particolare anche singolarmente.
I temi della perdita di se stessi, dello smarrimento e del vuoto interiore percorrono veloci il paesaggio angosciante della città di vetro, il luogo in cui ognuno riesce solo ad osservare dall’esterno le sfaccettature della propria anima; la mancanza di sicurezza e di speranza non permette alla città di catturare quella luce confortante di cui tutti sentono il bisogno. Il concept si sviluppa in tredici pezzi, tredici passaggi attraverso le emozioni più buie che convivono nell’uomo e che si sviluppano prevalendo momentaneamente una sull’altra.
Il singolo Ghost of the Sun, l’apertura del viaggio verso una bizzarra follia, riecheggia per gli arpeggi continui di sottofondo al cantato desolato; la depressione più cupa si raggiunge con Sleeper, introdotta da un riff di chitarra in clean e dotata di un testo profondo e ben congegnato: Renske interpreta con espressività la situazione interiore che sgorga da ogni brano.
Criminals, la più tenebrosa di Viva Emptiness, è forse l’episodio migliore perché il basso e gli effetti della chitarra distorta conferiscono al paesaggio della città di cristallo un alone di malinconia unico in tutta l’opera.
Perciò l’ascoltatore compie questo cammino lungo la strada rappresentata sulla copertina del disco, non attraverso un luogo del dolore, ma dello smarrimento: si giunge così alla melodica A Premonition e all’altalenante Will I Arrive, che indaga su un’esistenza senza speranza, ricca di illusioni e di sfuggenti miraggi; l’elettronica impiegata dai Katatonia abbellisce il lavoro rendendolo piacevole, pur facendogli mantenere un timbro mesto e totalmente Dark.
Le note di Burn the Remembrance si perdono lontano nel paesaggio grigio, mentre Wealth risveglia le entità demoniache presenti alla base della musica del quintetto scandinavo: non a caso lo stesso nome scelto dalla band definisce la diminuzione psicomotoria che porta all’inerzia totale, alla staticità che si percepisce anche nella musica chiusa di Viva Emptiness. Il solo spiraglio di luce s’intravede nell’eccezionale e tristissima Complicity, originata da un motivo indescrivibile, che emerge attraverso le costanti aperture sonore dell’intreccio delle chitarre.
La conclusione di Viva Emptiness si ricollega ad un nuovo inizio: la strumentale Inside the City of Glass immette ancora nello scenario dell’oscurità dilagante, delle tenebre in cui vaga solitaria la bambina della cover. Infine il sound di questa fatica discografica dei Katatonia è solo avvicinabile ai toni decadenti ma melodici di Damnation, album Progressive degli Opeth; le due bands, nello stesso anno, pubblicano due opere strepitose che verranno ricordate non solo come emblema dell’innovativo scenario svedese del terzo millennio, ma come i classici che hanno saputo incanalare diversi stili musicali, quali Dark, Progressive Rock e un pizzico di Alternative, in un unico timbro all’insegna della tristezza.