- Tony Martin - voce
- Neil Murray - basso
- Andre Hilgers - batteria
- Rolf Munkes - chitarra
1. The Raven Ride
2. Breathe
3. Carbon Based Lifeform
4. Satanic Curses
5. Al Sirat - The Bridge To Paradise
6. What Would I Do?
7. Changing World
8. Maximum
9. I Can't Trust Myself
10. The Devil Speaks, The Sinner Cries
Raven Ride
Terzo album per gli anglo/germanici Empire, che con Raven Ride danno una sterzata decisamente energica al loro sound, che nei primi due capitoli, Hypnotica del 2001 e Trading Souls del 2003, era decisamente più Rock oriented e tranquillo.
Con il nuovo lavoro la band si orienta su suoni più robusti riscontrabili proprio nel periodo d’oro dei Black Sabbath, che incrocia la storia del grande Tony Martin alla voce. E chi poteva essere il singer degli Empire, ancora una volta, se non proprio l’ugola inglese, vero prezzemolino di decina di progetti e band?
Tony, nell’arco dei dieci brani presentati, sfoggia tutta la sua classe e la potenza della proprio ugola con una prova professionale ed esemplare. Rolf Munkes, chitarrista e leader della band (anche nei Majesty e nei Razorback) dà fiducia ancora una volta a Martin senza sbagliarsi.
Alla corte degli Empire abbiamo poi anche un’altra leggenda vivente come Neil Murray al basso (Whitesnake, Black Sabbath) che garantisce, insieme al batterista Andre Hilgers (Silent Force, Axxis), tutt’altro che sconosciuto, un’ossatura ritmica di tutto rispetto alle song.
Possiamo dire che il mood del disco è legato a quanto si può ascoltare in capolavori come Tyr e Headless Cross, con suoni lunghi, dilatati e pesantissimi, ritmi cadenzati e potenti.
La prima song, The Raven Ride, è un cadenzato molto epico che ci pone subito su uno scudo la voce stentorea di Martin. La molteplice proposta di nostri viene invece evidenziata da un brano come la rocky Carbon Based Lifeform, in Black Sabbath style, decisamente più easy per la melodia vincente proposta ma anche accattivante per l’atmosfera cupa del riffing di Munkes.
Il tocco più oscuro di Headless Cross esce alla grande in brani come Al Sirat - The Bridge To Paradise, che ci ricorda non poco anche i mitici Rainbow.
Non mancano anche alcuni momenti inaspettati di apertura melodiche più semplici e dirette come quelle dell’ottima Changing World, che hanno come protagonisti anche delle ottime partiture di tastiera. L’artwork, che raffigura un’inquietante figura, una sorta di mezzo-uomo-mezzo uccello vestito da monaco rievoca per l’ennesima volta la fase epica dei Black Sabbath.
Per nostalgici di un sound immortale.