- Bruno Biriaco - Battera, Percussioni
- Franco D'Andrea - Piano elettrico e acustico
- Claudio Fasoli - Sax alto e soprano, Percussioni
- Tony Sidney - Chitarra acustica e elettrica, Bonghi
- Giovanni Tommaso - Basso, Moog
1. Genealogia (08:25)
2. Polaris (05:00)
3. Torre del lago (03:06)
4. Via beato angelico (04:55)
5. (In) vino veritas (06:45)
6. Monti pallidi (03:31)
7. Grandi spazi (03:36)
8. Old Vienna (03:22)
9. Sidney's call (04:55)
Genealogia
Il prog rock italiano è stato un'opera d'arte assoluta. Forse anche di più rispetto a quello inglese, sebbene abbia (quasi) sempre vissuto sotto la sua ombra. A comandare quello scenario non vi erano solamente le armate britanniche dei generali Fripp, Anderson, Collins e Hammil, ma anche un folto gruppo di ribelli provenienti dalla penisola a stivale: Area, PFM, Banco del Mutuo Soccorso, Il Balletto di Bronzo, Locanda delle Fate e un altro sterminato esercito di sperimentatori. Tra questi, in Italia emergeva un gruppo di musicisti già stanco del solito prog e proiettato verso un suo peculiare superamento: loro erano i Perigeo e nel 1974 scrissero una delle più affascinanti (e misconosciute) testimonianze di ciò che era il rock sperimentale negli anni '70. Si, è vero che l'esordio Azimut (1972) ebbe un peso storico enorme, ed è altrettanto vero che La Valle dei Templi (1975) ebbe maggiore risonanza commerciale, ma ciò che i Perigeo furono in grado di fare in quel lontano '74, celandolo dietro il nome Genealogia, è un qualcosa che più semplicemente non può avere paragoni.
Influenzati dall'eco jazz-rock dei Soft Machine di Robert Wyatt ma al contempo proiettati verso un'ulteriore espansione di confini del prog, i Perigeo hanno lasciato nella storia della musica sperimentale una delle tracce più profonde e indelebili che si ricordi, tanto per l'astuzia stilistica quanto per un'unicità nel gusto melodico che ancora rende incomparabile il complesso capitanato da Giovanni Tommaso. Genealogia rappresenta tutto ciò che i Perigeo sono stati all'inizio della loro carriera, nella maniera più pura e completa: capolavoro in cui gli stilemi del progressive vengono piegati sotto l'onirica incudine del rock a tinte jazz e fusion (a là Mahavishnu Orchestra per intenderci), il gioiello del '74 è un'oasi sconosciuta di visioni sovrannaturali e incubi ad occhi aperti, solari aperture spirituali e improvvisi inasprimenti emotivi, resi con la solita, ineguagliabile maestria esecutiva.
L'opener Genealogia è probabilmente ciò che di meglio sia mai uscito dalle menti di Tommaso e compagni: fluida e avvolgente nelle sue interminabili evoluzioni timbrico-atmosferiche (l'apertura rimane uno dei picchi del prog-rock italiano di sempre), la titletrack demolisce qualsiasi limite espressivo e si espande, riff dopo riff, in una travolgente cavalcata di pianoforti, fiati e chitarre supportati da ritmiche incalzanti. Una fantasia allo stato puro che Polaris momentaneamente oscura con la sua travolgente ondata di cerebralismo ed eclettiche costruzioni armoniche, ma che poi viene ripresa e rilanciata dalle suggestioni ambientiali di Torre Del Lago e dalle più semplici melodie della dolce Via Beato Angelico (episodio di più facile comprensione del disco). Finchè non giunge (In) Vino Veritas a scardinare nuovamente ambienti e atmosfere in un delirio strumentale quasi frippiano, sebbene ancora più ipnotico e psichedelico: un inno assoluto alla libertà creativa suonato da un'orchestra di fiati ubriachi, ritmi d'altre dimensioni e melodie alienanti.
E poi di nuovo un ritorno alla quiete e all'equilibrio (l'elegante jazz di Monti Pallidi e le ipnotiche trame strumentali della fugace Grandi Spazi) che però, non appena giunge il passo sbilenco della sublime Old Vienna, comincia nuovamente a tremare e a dissolversi, lasciando la strada spianata al lento arrivo di Sidney's Call, ultima progressiva esplosione della poesia, della fantasia e del genio visionario dei Perigeo, mai come in questo caso vicino alle soluzioni armonico-melodiche degli statunitensi Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin.
Genealogia è un sogno ad occhi aperti nel quale ci si perde in deserti incantati e labirinti senza fine; un'opera dai poteri atmosferici devastanti e dallo spessore tecnico-creativo-compositivo semplicemente indescrivibile. Un disco da scoprire ad ogni costo, al fine di non perdersi una perla del prog rock italiano degli anni'70 che ancora oggi, a distanza di quasi quarant'anni, riesce ancora ad abbagliare nella propria peculiare e raffinata bellezza.