Peter Elkas
1. Party of One
2. In my Den
3. Gone, It's Gone
4. Turn out the Lights
5. I See Fine
6. Skipping Stone
7. Build a Harmony
8. Everybody Works
9. Only You
10. Still a Flame
Party of One
Peter Elkas è un musicista poco conosciuto qui da noi, se non nei piccoli club di nicchia che trattano solo di musica Indie. Questo Party of One è il suo disco d'esordio da solista, perchè prima faceva parte dei Local Rabbits, gruppo Indie rock di Montreal. Nel 2003, il suo batterista e futuro manager Don Kerr, lo convince a buttarsi nel mercato musicale. E' così che viene pubblicato Party of One che uscirà nel medesimo anno sotto la MapleMusic Recordings. La recensione che state leggendo, tratta dello stesso disco, con la differenza che è sotto la Bad Reputation (label francese) che ha deciso di comprarne i diritti e ripubblicarlo in suolo Europeo.
Il sound è tipico dell'Indie Rock e risulta essere parecchio influenzato dalle ambientazioni lounge tipiche dei locali con luci soffuse e musica rilassante. Lo si capisce subito sin dalla prima canzone, Party of One in cui gli strumenti sono al massimo della semplicità e del minimalismo. Voce soffice e appena accennata per stare in linea con l'enviroment generale. Song parecchio rilassante che lascia presagire l'inizio di un buon cd. Con In my Den, la scena si fa un pò più movimentata ma senza tralasciare la tranquillità avuta con la traccia precedente. In effetti, si ha un uso piuttosto consistente di chitarra stile anni '60 e una batteria presente maggiormente rispetto a prima. La voce stessa si lascia andare in vocalizzi veri e propri, continuando però a mantenere quel timbro scocciato e incisivo. Gone It's Gone si apre con un piccolo passaggio di chitarra acustica che, in modo marcato e ben regolato, detta l'abc della ritmica. Si può dire che questa traccia sia una specie di Ballad a metà tra Jack Johnson e Ben Harper, un bel pezzo che lascia all'ascoltatore una sensazione di solarità e positività. Carino anche il bridge che aumenta leggermente il ritmo generale del brano. Turn Out the Light è il classico lento da night club, da ascoltare con un bicchiere di martini in mano mentre si contempla la bellezza della città dal proprio salone con vetrata. Una canzone ben fatta in cui sentiamo la presenza anche di un organo elettrico che aggiunge maggior contorno alle sonorità già presenti. Peter qui opta per mantenere la propria voce bassa ma piena e, in alcuni momenti, si cimenta nel falsetto per dargli quel tocco alla Stevie Wonder. Di stesso stampo musicale è la traccia successiva, I See Fine. L'unica differenza è l'impiego di un ritmo leggermente più cadenzato che permette alla voce di utilizzare tonalità di volume più alte. Skipping Stone inizia col rumore della pioggia in sottofondo. Il brano è caratterizzato da un senso di malinconia che viene alternata a momenti un pò più incalzanti quando si passa al ritornello. Musicalmente è molto semplice e la batteria non fa altro che cercare di dare un ritmo piuttosto blando ma ben marcato.
Abbiamo anche la presenza di un'armonica in alcuni momenti per sottolineare ulteriormente le sonorità malinconiche del brano. Build a Harmony volta pagina e porta l'ascoltatore in ambienti più Rock. La chitarra la si sente maggiormente e la batteria attua diversi cambi di ritmo. Un sound parecchio vicino a quello psichedelico degli anni '70. Se si sente l'intro di Everybody Works, non è difficile che balzi alla mente Norah Jones. Il piano che apre la canzone, in effetti, è molto simile a quello della cantante americana. Questo brano è l'unico in cui Peter Elkas è appoggiato per tutta la durata, da una seconda voce in falsetto. Questo, probabilmente, la rende troppo mielosa anche se alla fine può convicere ugualmente chi l'ascolta. Only You comincia in modo piuttosto country ricordando alla lontana, i primi lavori da solista di Mark Knopfler. Il brano in questione è puramente Indie rock in cui la chitarra marca costantemente la ritmicità dettata dalla batteria. La voce, invece, risulta piuttosto ininfluente con il suo tono scocciato e strafottente. Still a Flame è l'ultimo pezzo presente in questo cd e ritorna un pò alle sonorità acustiche avute in alcune canzoni ascoltate precedentemente. Bel pezzo soprattutto grazie al fatto che il batterista usa le spazole, dando quel senso dispersivo e non ben identificato. Qui la voce riesce ad usare in modo azzeccato e convincente, il binomio tra voce profonda e falsetto. Un bel effetto.
Party of One è sicuramente un bel disco, adatto per i momenti di contemplazione o di relax che, ogni tanto, vogliamo prenderci dopo una giornata stressante. Proprio questo, però, può risultare un'arma a doppio taglio perchè, se ascoltato nel momento sbagliato, può darvi un senso di malinconia che richiederà un pò di tempo per farselo andare via.