- Mats Gustafsson - Sassofono tenore, conduttore, compositore
- Anna Högberg - Sassofono alto
- Martin Küchen - Sassofono baritono
- Fredrik Ljungkvist - Sassofono baritono, clarinetto
- Jonas Kullhammar - Sassofono basso
- Elin Larsson - Sassofono tenore
- Christer Bothén - Clarinetto basso
- Goran Kajfeš - Cornetta
- Emil Strandberg - Tromba
- Magnus Broo - Tromba
- Niklas Barnö - Tromba
- Mats Äleklint - Trombone, arrangiamenti
- Per-Åke Holmlander - Tuba
- Mariam Wallentin - Voce
- Simon Ohlsson - Voce
- Sofia Jernberg - Voce
- Sören Runolf - Chitarra elettrica
- David Stackenäs - Chitarra elettrica e acustica
- Andreas Söderström - Lap steel guitar
- Sten Sandell - Tastiere, Mellotron
- Martin Hederos - Fender Rhodes
- Dan Berglun - Basso
- Joel Grip - Basso
- Johan Berthling - Basso elettrico
- Andreas Werliin - Batteria
- Johan Holmegard - Batteria
- Raymond Strid - Batteria
- Joachim Nordwall - Elettronica
1. Enter Part One
2. Enter Part Two
3. Enter Part Three
4. Enter Part Four
Enter
Nel 2013 i Fire!, trio svedese conteso tra l'avant-jazz e il jazz rock capitanato da Mats Gustafsson, uno dei jazzisti europei più prolifici e importanti degli ultimi vent'anni, avevano allargato la propria formazione a quasi trenta elementi (incorporando, nella formazione originale di sassofono, basso e batteria, anche trombe, clarinetti, voci, chitarre e tastiere) con l'obiettivo di reinterpretare in maniera esotica e personale la tradizione delle orchestre e delle big band jazz.
Ripartendo direttamente dall'opera degli ensemble più sperimentali degli anni Sessanta (i referenti più importanti si trovano in particolar modo nella Liberation Music Orchestra di Charlie Haden e nel lavoro di Charles Mingus), il debutto Exit! della Fire! Orchestra (questo il moniker adottato), pubblicato proprio nel 2013 tramite la Rune Grammofon, si era posto immediatamente come uno degli album jazz più esplosivi (anche se non forse sempre a fuoco) degli ultimi anni.
Solo un anno dopo, la Fire! Orchestra ritorna sulle scene pubblicando ben due release: dapprima, a gennaio, Second Exit ripropone la musica dell'esordio in sede live; quindi, a maggio vede la luce il secondo full-length in studio intitolato, con poca immaginazione, Enter, ed edito sempre dalla Rune Grammofon.
Anche questa volta si tratta di un'unica composizione suddivisa in più sezioni (questa volta quattro anziché solo due, per un minutaggio leggermente più generoso - circa cinquantaquattro minuti). Prevedibilmente, visto anche il poco tempo passato tra la pubbicazione dei due lavori e considerando che non vi è stato alcun cambio di line-up nel frattempo, la proposta si pone in netta continuità con quella offerta dal precedente Exit!, tant'è che Enter ne eredita gli stessi difetti (una certa autoindulgenza nelle sezioni più free-form, e un uso non sempre accorto delle tre voci).
Ciò che invece contraddistingue il nuovo album dal debutto è però un approccio ancora più radicale e iconoclasta alla musica per big band. Non limitandosi più a far proprie le lezioni di alcuni dei compositori per grandi ensemble più grandi ed eversivi degli anni Sessanta e Settanta (in questo secondo disco, oltre a Haden e a Mingus, si aggiungono allo stuolo di influenze l'Arkestra di Sun Ra, l'opera di Carla Bley e i lavori europei di George Russell), il linguaggio della Fire! Orchestra si estende al rock e accentua ulteriormente i legami con la musica sperimentale, già di per sé evidenti in Exit! e qui portati alle estreme conseguenze, complice anche l'esperienza nei più disparati ambiti musicali dei musicisti coinvolti (dal pop di Wildbirds & Peacedrums e The Tiny al folk dei The Amazing; dall'avant-jazz di The Thing e Angles al rock dei Paatos).
Così, da un sentito tema jazz rock (portato avanti dapprima solo dal pianoforte elettrico e quindi ripreso dall'incedere dei fiati), coronato dall'intrecciarsi delle tre voci di Mariam Wallentin, Simon Ohlsson e Sofia Jernberg, la prima parte di Enter devia ben presto verso un trip allucinogeno e spettrale dominato da mellotron, distorsioni elettriche e feedback, per tornare quindi sui suoi passi in un groove jazz-funk e concludersi infine in un'esplosione corale dell'orchestra. La seconda parte amplia ulteriormente il raggio d'azione, giocando su un terreno conteso tra il krautrock (con il battito ritmico che richiama il motorik dei Neu!), la psichedelia (rievocata dalle distorsioni dell'organo à la Ray Manzarek), perfino il noise (con chitarre e interferenze elettroniche a bombardare la jam già poco ortodossa dell'orchestra) e ovviamente la musica per big band, con Ohlsson come primo vocalist ad alternare linee vocali standard, gorgoglii indemoniati e mantra ripetuti forsennatamente.
A tutto questo, Enter Part 3 aggiunge anche l'incursione più oltranzista nei territori dell'avanguardia di tutto il lavoro, con l'improvvisazione vocale che, accompagnata dalla sola elettronica, qui viene smembrata in vocalizzi isterici e sibili sospesi nel vuoto pneumatico, per poi proseguire con il tema intrapreso nel secondo movimento e, infine, concludere l'opera con il quarto atto che vede la ripresa del jazz rock della prima traccia come base per l'improvvisazione corale di tutto l'ensemble che suggella l'album.
Se le idee mostrate rivelano nuovamente grande creatività e inventiva, è però l'interplay tra i membri della Fire! Orchestra a rendere Enter uno dei dischi jazz più riusciti dell'anno: senza mai perdere di vista lo spirito quasi giocoso della loro musica, i musicisti passano agilmente dal rispondere e rincorrere le linee dei compagni, al sostenerle e valorizzarne il ruolo da comprimari. A questo, si aggiunge un'esecuzione strumentale intrigante che, pur in una composizione così strutturata, spesso si spinge al limite dell'improvvisazione libera e totale senza mai varcarlo definitivamente, e che proprio in questo trova il proprio punto di forza.