- Protector (Richard Lederer) - Tastiere, Chitarre,
Programmazione Batteria, Voce su “Across the Streaming Tide”, “Might
and Glory” e “Land of the Dead”
- Silenius (Michael Gregor) - Tastiere, Basso, Voce su “Mirdautas Vras”, “Beleriand”, “NorthWard” e “Menegroth”
1. Bauglir (02:58)
2. Across The Streaming Tide (10:20)
3. Mirdautas Vras (08:13)
4. Might And Glory (08:26)
5. Beleriand (09:27)
6. Northward (08:39)
7. Menegroth (08:12)
8. Land Of The Dead (12:50)
Oath Bound
"Oath Bound": legati dal giuramento alle nere arti di cui da sempre sono fieri araldi, i Summoning tornano sulle scene musicali dopo 5 anni dall’ultimo studio-album, il buono ma non eccellente “Let Mortal Heroes Sing Your Fame”, che seguiva tre dischi di assoluto spessore come il leggendario “Minas Morgul”, e gli ottimi “Dol Guldur” e “Stronghold”.
La pausa che s’erano presi dal loro progetto principale i due austriaci era stata rotta solo nel 2003 dall’EP “Lost Tales”, a dir la verità abbastanza inconcludente e noioso, che aveva visto un abbandono della voce in screaming in favore di un approccio più atmosferico con voce recitata/campionata, che aveva lasciato con l’amaro in bocca più di un fan (me compreso).
Svariati anni è dunque durata la gestazione di questo lavoro: e la cura nei dettagli che Silenius e Protector, unici membri di questo storico gruppo austriaco, hanno messo nel nuovo lavoro, si vede e si sente fin dai primissimi ascolti.
E fin dalle prime sessioni d'ascolto infatti si nota che la produzione di “Oath Bound” è ricca e corposa, ed il lavoro fatto in questo senso dal gruppo è davvero soddisfacente: il suono è potente e avvolgente, tanto che spesso ci si sente addirittura come sommersi da tanta traboccante pienezza.
Le liriche ruotano come al solito attorno ai temi dei libri di J.R.R. Tolkien, caratteristica che ha reso peculiare il gruppo fin da tempi non sospetti; ad esse è unita una copertina, che trovo onestamente davvero superba, perfettamente adatta alla proposta del duo.
Passiamo a quello che più è importante, la musica: Oath Bound è introdotto dall’oramai “solita” e ben riuscita intro atmosferica, intitolata Bauglir, in cui ho risentito echi di “The Passing of the Grey Company” (da Minas Morgul, il loro secondo disco) nella melodia portante.
Le seguenti sette canzoni sono composizioni possenti di epico, fantasy, wagneriano, atmosferico e sognante Black Metal; e la maestosità delle nuove composizioni è indicata anche dal fatto che esse non scendono mai sotto gli otto minuti di durata, in cui il Summoning-sound torna a ottimi livelli – se “Lost Tales” poteva lasciare con un po’ di paure circa la bontà dell’ispirazione dei due artisti austriaci, queste vengono immediatamente scacciate non appena le note coinvolgenti di Across The Streaming Tide o quelle tristi di Northward iniziano a sprigionarsi dalle casse dello stereo.
Le songs presentano tutte le caratteristiche che abbiamo a imparato ad amare sui dischi precedenti della band: lo screaming acido dei due membri (che si alternano dietro al microfono), gli inconfondibili synth maestosi e personalissimi che costruiscono melodie arcane e ipnotiche, le chitarre a zanzara tipiche del black, i passaggi quasi-ambient di grande atmosfera, la batteria palesemente finta ma assolutamente unica nell’incedere tellurico delle sue percussioni: ovvero tutto ciò per cui i Summoning sono amati (o disprezzati, a seconda dei gusti) dal pubblico Black Metal.
Rimangono inalterati i pregi, rimangono inalterati i difetti: la ripetitività di certe scelte stilistiche [batteria campionata, stile del riffing, ecc], l’estrema sontuosità di alcune melodie [sebbene siano stati limati i momenti più pacchiani e barocchi del comunque apprezzabile predecessore], nonché la monotonia intrinseca delle canzoni e dei loro temi, possono risultare d’impaccio nella fruizione a più di un ascoltatore – in questo senso non c’è stata la minima progressione. D’altronde, i Summoning propongono fedelmente lo stesso stile fin da "Minas Morgul" [il debut album "Lugburz" era molto diverso da quanto faranno ascoltare in seguito], apportando solo piccoli cambiamenti da un disco all’altro.
Le canzoni sono tutte molto omogenee, e descriverle tutte, traccia per traccia, servirebbe solo a mettere in testa al lettore una gran confusione: mi permetto dunque di soffermarmi solo sui due episodi più particolari e più indovinati, sui due racconti che possono rivaleggiare a testa alta con le migliori espressioni passate della band.
Le altre comunque si segnalano qui e là per ottimi spunti, come la quarta Might and Glory, in cui un bel coro in voce pulita fa la propria comparsa dopo il sesto minuto, o la settima Menegroth, che per alcune scelte stilistiche mi ha ricordato, con le dovute differenze, i Nokturnal Mortum più sinfonici del masterpiece “Goat Horns”.
Ma torniamo alle due top songs di “Oath Bound”, ed iniziamo a parlare della terza traccia, l’interessantissima Mirdautas Vras, la cui peculiarità è quella di essere cantata interamente nella nera lingua di Mordor (il titolo è traducibile in italiano con “Un Buon Giorno Per Uccidere”). Estremamente evocativa, cadenzatissima, Mirdautas Vras è praticamente una marcia di guerra: sembra quasi di vedere le orribili e feroci armate degli Orchi sorgere al calare delle tenebre, alzare le fiaccole, sbattere le spade sugli scudi schiumando di rabbia e iniziare il viaggio che li porterà al campo di battaglia, seminando terrore e morte lungo il cammino. La voce di Silenius è grottesca come mai prima, e gli intermezzi, le percussioni ossessive, i sample rumoristici registrati, le aperture sinfoniche contribuiscono alla creazione di un’atmosfera davvero intensa e palpabile, come se l’ascoltatore si trovasse dinanzi a uno spettacolo spaventoso ma al contempo affascinante e mozzafiato: tutto è al posto giusto, per uno dei pezzi più particolari della discografia degli austriaci.
L’altro capolavoro del disco è la conclusiva Land of The Dead (clicca per ascoltare un sample di qualità ridotta), gemma epica di 12 minuti abbondanti, la cui introduzione mi ha fatto riprovare sulla pelle i brividi di un brano storico quale il loro “The Legend of the Master-Ring”.
Struttura? Strofa – ritornello – strofa – ritornello – coda. Tutto qui, niente di speciale, semplice nell’idea eppure geniale nella realizzazione.
Ascoltandola, si passerà appunto per le strofe ispiratissime, in cui la seconda parte di ogni verso viene ripetuta due volte, creando un effetto come d’antico poema; si ammirerà un refrain smaccatamente epico che vi stregherà (“No moon is there, no voice no sound - of beating heart; a sigh profound, once in each age as each age dies, alone is heard. Far, far it lies”), e vi farà sognare, mentre la raucedine di Protector vi condurrà in alto, fra le nuvole, a sorvolare misteriose terre inquietanti e silenziose lande desolate. Il settimo minuto vede fare la sua comparsa un basso e composto coro pulito d’abbagliante bellezza, che dipinge sopra ai sintetizzatori la melodia del finale, che continuerà per altri cinque minuti a tenerci in un irreale, mistico stato di contemplazione - come se, senza che noi ce ne accorgessimo, le ombre della terra dei morti stessero calando sulle nostre stanze... Il fischio di un flauto sintetizzato e il coro che si spegne in fade, portato lontano dal vento, chiudono infine il viaggio nella Terra di Mezzo che i signori Michael Gregor e Richard Lederer ci hanno presentato, attraverso la loro ultima creazione.
Oath Bound non vi farà cambiare il giudizio che avete sui Summoning: se non vi piacevano prima, Silenius e Protector e la loro musica continueranno a lasciarvi indifferenti. D’altro canto, se invece apprezzate lo stile del gruppo, questo disco è l’ennesimo prodotto di qualità che non può mancare nella vostra collezione, superiore a “Let Mortal Heroes Sing Your Fame”, anche se non ai livelli dei loro tre dischi migliori.
Ancora, se non conoscete la band ed essa vi incuriosisce, questo nuovo “Oath Bound” può essere un buon inizio, dopodiché, se trovate la musica del duo austriaco di vostro gradimento, recuperate la “pietra miliare” Minas Morgul e il resto della loro discografia in ordine cronologico.
Pazienti e noncuranti delle mode, i due artisti austriaci proseguono imperterriti a tessere la loro tela; la stessa che, raffinando man mano, stanno intessendo da dieci anni a questa parte. La tela continua ad avere i difetti tipici ed intrinseci di quel tessuto, ma il suo fantastico fascino non accenna a diminuire.
Farewell now mountain vale and plain
Farewell now wind and frost and rain
And mist and cloud and heavens air
Ye star and moon so blinding fair.
Farewell now blade and bloom and grass
That see the changing season pass
Farewell sweet earth and northern sky
Forever blessed but here we die.
[Summoning, Northward]