Kristoffer 'Garm' Rygg
Jørn H. Sværen
Tore Ylwizaker
Ole Alexander Halstensgård
1. As Syrians Pour In, Lebanon Grapples With Ghosts of a Bloody Past
2. Shri Schneider
3. Glamour Box (ostinati)
4. Son Of Man
5. Noche Oscura Del Alma
6. Mother Of Mercy
Messe I.X–VI.X
In occasione del ventennale di carriera gli Ulver sfruttano un invito della Tromsø Chamber Orchestra e si regalano il “disco con l'orchestra”, una delle poche cose che mancava alla loro discografia – oramai estesasi a ben dieci full-length in studio ed un paio di live-album oltreché una manciata di EP, soundtracks e altre cosucce.
Grazie alla collaborazione col compositore austriaco Martin Romberg, che si è occupato di buona parte degli arrangiamenti, Rygg e compagni (senza O'Sullivan, ma con Ole Alexander Halstensgård) hanno potuto così concepire un disco ambizioso, forte di un'orchestra di 21 strumenti, ma che mantiene i toni introspettivi, cupi e malinconici che sono da sempre marchio di fabbrica Ulver.
L'album, piuttosto vario grazie a sbandamenti che vanno dall'elettronico all'orchestrale, è stato registrato dal vivo il 21 settembre 2012 in occasione della “prima”, ed è stato successivamente ritoccato, rielaborato e inquinato ad arte dai lupi in studio.
I riferimenti esterni sono stati esplicitati dal gruppo stesso in maniera piuttosto sincera e puntuale nella press release del disco, e ogni pezzo ha una sua anima più o meno ben definita dalla sua principale influenza (il primo pezzo è Górecki al 100%, il secondo e il terzo mescolano palesemente Coil e Terry Riley, eccetera). Tra le esperienze passate del gruppo, invece, a pesare in maniera predominante sono "Shadows of the Sun" (non a caso il disco più cameristico della loro carriera), gli EP della serie “Teachings in Silence” e le varie soundtracks realizzate nei primi duemila (“Lyckantropen Themes” e “Svidd Neger”).
La prima metà del disco è interamente strumentale, mentre nella seconda subentra la voce di Rygg in due pezzi cantati, il quarto e il sesto: due 'preghiere' più o meno ortodosse rivolte rispettivamente a un 'heavenly father' e ad una 'mother of mercy'. Più tetra ed esplosiva la prima, più suadente la seconda, in entrambe il canto di Kristoffer viene accompagnato dagli archi, dai misurati rintocchi del piano e da incursioni elettroniche che fanno da contraltare ai cori angelici che irrompono qui e là.
A separarle, la quinta traccia “La noche oscura del alma”, la più inquietante del lotto, sferzata da contrabbassi e violoncelli ai limiti della Drone Music ed avvelenata da veleni industriali che le donano un mood da film noir.
Insomma non un disco rivoluzionario in senso stretto (abbiamo già detto – anzi, lo hanno detto loro stessi – in quali territori va a parare: classica moderna; Riley e altre sonorità cosmico-elettroniche '70-'80; manipolazioni industrial-ambient tra Coil e Nurse With Wound) come d'altronde la maggior parte delle cose Ulveriane. Ma un disco comunque personale e curioso, sempre ammantato di quella nostalgia che è da sempre parte integrante dell'esperienza d'ascolto di un disco targato Ulver, nel 2013 con “Messe” come nel 1993 con “Vargnatt”.
Nonostante l'effettivo contenuto musicale delle opere dei norvegesi sia stato rivoltato come un calzino più e più volte nel corso della loro carriera, il denominatore comune a tutti i loro lavori è la sensazione di un gruppo attento nel guardarsi attorno, curioso nell'esplorare ciò che li circonda ed affascina, pronto nel tentare qualcosa di nuovo.
“Messe” non fa eccezione e non sfigura nel portare orgogliosamente il nome Ulver in copertina.