Thomas (basso, voce)
Vincent (basso, voce)
Kévin (batteria).
01 Gru
02 Emma Stuper
03 Mic Mac
04 Monorone
05 Buhns
06 Moignon
07 Cheuby
08 Druine
09 Pampa
10 Sana
Aoûtat
Allora c’è ancora vita là fuori. Quando ormai credevo che la prassi math-noise, i rumorismi tribal-geometrici e le varie schizofrenie mutaforma del post rock fossero ormai dominio della seriosità del nuovo decennio e di una patologica mancanza di idee che attecchisce l’underground come fa la cocciniglia con le piante, arrivano alle mie orecchie questi tre francesi di Metz di cui – mea culpa – non ne sapevo nulla.
Perché avrei dovuto? Perché son più di dieci anni che girano letteralmente il mondo esibendosi dal vivo in un clima che ricorda tanto quello sovversivo (musicalmente parlando) dei concerti nei centri sociali dei nostri anni ottanta e novanta, quando gente ‘estrema’ come Deity Guns o Ruins, The Ex o Contropotere inscenavano ‘tragedie’ che oltre a far pogare(a volte), facevano anche riflettere (a volte).
Ma torniamo al nostro presente musicale, poiché Le Singe Blanc al di là di questa fantastica ‘aria avventurosa’ che si portano dietro, apparentemente non sembrano interessati a messaggi particolari quanto a stupirci e stranirci e forse a svegliarci anche un pò. Lo fanno con due bassi ed una batteria (più voci) e per quanto pensiate che questa non sia affatto una novità – e sono d’accordo – vi assicuro che il risultato è meno scontato di quanto si possa prevedere.
L’album come si può immaginare scorre via veloce, circa mezz’oretta, ma la sua capacità di penetrazione è ben superiore.
Se Gru ricorda i Primus, lo fa solo per pochi secondi, poiché le voci che entrano suggerirebbero più i nostrani Wolfango, quel tipo di follia, tanto cara ad etichette come Wallace, Snowdonia e Bar La Muerte. Una sorta di post-punk meccanico e molto divertente. Emma Stuper, nome ripetuto più volte ad inizio traccia, si conficca in testa e di nuovo il ricordo di act nostrani è forte(in questo caso, della coppia Dorella/Pedretti quella rievocata è la ‘lei’..) ma la furia ritmica sembra molto più violenta e chirurgica di qualsiasi altra rievocazione patriottica. Mic Mac, ossessivamente simmetrica, dimostra come avrebbero suonato i Contortions di James Chance se invece di nascere nel ’78 fossero nati nel 2008.
E così via, tra tempi storti, ritmiche assurde, voci ben oltre il livello di vergogna (che proverete con il vicinato se ascolterete Aoûtat ad alto volume), finti proclami e bassi pseudo-funky e post-wave ovunque. E vagonate di ironia, come in Druine, sorta di metal liofilizzato che sembra prendere per i fondelli – tra le righe - vari personaggi e luoghi comuni di quel mondo mitizzato.
Assolutamente imprendibile, molto dispettosa e tanto anarchica questa scimmia bianca.