Marios Koutsoukos Lyrics
Gianluca Tamburini Guitars, Bass
Filip Vučković Vocals
Jaco Guitars, Bass
Juan Pablo "Juskko" Churruarin Accordion
Emily Cooper Soprano Recorder, Piccolo, Tenor Recorder
Metfolvik Vocals
Dennis Schwachhofer Drums
Nostarion Cello
Rhode Rachel Vocals
Robert Downing Fiddle
Kyle Freese Drums
Anaïs Chevallier Vocals (female)
Michaël Fiori Lyrics, Vocals, Bass, Electric guitars
Hildr Valkyrie Vocals (female), Keyboards
1. Sons of the North 06:53
2. Rider on the Winds 03:54
3. Taking Arms 04:05
4. Lord of Serpents 03:56
5. Wind of Conquest 04:30
6. Ravens on the Wing 04:28
7. Odin Wills It 04:00
8. Black Knights 04:19
9. To Vinland We Sail 03:43
10. Defying the Storm 04:38
Sons of the North
Folkearth è un progetto molto ambizioso. Il suo nome lascia trasparire una sorta di alleanza mondiale sotto il nome del folk metal e così é. Musicisti da tutto il mondo prendono parte al progetto nato nel 2004, il quale si é prolungato sino al 2011 con questo Sons of the North, nono album in una carriera molto produttiva. La formazione vede elementi provenienti da Paesi come Grecia, Lituania, Monaco, Francia Argentina, Stati Uniti, Italia, Croazia e Germania per un totale di quindici persone.
Tante teste da unire, tante tradizioni da fondere e tante influenze da amalgamare non è affatto cosa semplice. I diversi tipi di folk derivanti da tanti Paesi lontani creano un gran lavoro e non sempre il gruppo si è dimostrato all’altezza del progetto. Musicalmente, possiamo dire che, come da prassi, la base musicale del disco è fornita di elementi chiaramente derivanti dalla scuola black metal nordica con puntate sul death melodico, ai quali vengono sovrapposti sporadici intervalli tipicamente folk con l’uso degli strumenti del genere: arpe, flauti, violini e tamburi. Il growl maschile sovente viene alternato alle suadenti tonalità femminili che meglio si adattano alla tessitura folk, a tratti sostenuta da un tappeto power metal. A tale proposito citerei in particolare Rider on the Winds, traccia che mostra molte meno inflessioni estreme rispetto all’opener.
Procedendo all’ascolto del disco, le prime debolezze vengono allo scoperto. Il growl continua nella sua timbrica inespressiva e c’è una disomogeneità di base che non è da sottovalutare: troppe le influenze e non si riesce a seguire il filo conduttore. Ogni traccia possiede un’anima diversa dalle altre e ciò crea un impatto non del tutto buono, quando si sarebbero potute unire tutte queste idee al fine di creare un genere vero e proprio, ascoltabile in ogni singola canzone. Il disco, con il passare dei minuti, non mostra segni di vitalità ed originalità rendendo difficile l’ascolto. Quasi impossibile citare una canzone migliore dalle altre perché tanto gira che ti rigira si ascoltano sempre le solite note con un condimento diverso che, come detto prima, può variare al massimo dal power all’extreme metal.
Sinceramente, mi sento di raccomandare questo lavoro solamente ai più accaniti ascoltatori di folk metal e a nessun altro. Personalmente, non trovo nulla di eccezionale in questo progetto che forse si regge in piedi solamente per il nome che si porta dietro ed al suo numero di collaborazioni.