Voto: 
7.8 / 10
Autore: 
A. Giulio Magliulo
Etichetta: 
4AD
Anno: 
2012
Line-Up: 

Mark Lanegan - vocals

Martyn Lenoble - bass

David Catching – guitar

Alain Johannes - bass, keys, and percussion

 Duke Garwood – guitar

Greg Dulli – backing vocals

Joshua Homme -guitar

Shelley Brien – backing vocals

Chris Goss – guitar, backing vocals

Jack Irons – drums

Dave Rosser – guitar

Aldo Struyf – guitar, keys

Tracklist: 

1. The Gravedigger’s Song
2. Bleeding Muddy Water
3. Grey Goes Black
4. St Louis Elegy
5. Riot In My House
6. Ode To Sad Disco
7. Phantasmagoria Blues
8. Quiver Syndrome
9. Harborview Hospital
10. Leviathan
11. Deep Black Vanishing Train
12. Tiny Grain Of Truth

 

Mark Lanegan Band

Blues Funeral

Il blues sarà contento che il suo funerale simbolico lo celebri una delle voci più intense degli ultimi venticinque anni anche se l’ultimo album di Mark Lanegan a causa delle sue incursioni elettroniche ha creato più di qualche chiacchiera da supermercato (che in una logica warholiana fanno solo che bene).

E a dirla tutta, Blues Funeral è uno dei più bei capitoli della ormai vasta produzione laneganiana (tra dischi a suo nome ma soprattutto collaborazioni): tradizionalista e rispettoso del passato del suo protagonista e delle aspettative di un pubblico affezionato tanto quanto moderno perché perfetto per i tempi nella sua produzione quasi wave ma non patinata (c’è Alain Johannes alla consolle, oltre che dietro a qualche strumento).

La fine del blues Lanegan decide di inscenarla con gli amici di sempre (ergo la mafia post-grunge/stoner/hard/alternative di sempre…Greg Dulli,Josh Homme, David Catching, Chriss Goss, chi altri?) che alternativamente ed elegantemente come il maestro di cerimonie fanno capolino tra i vari brani e la musica del diavolo viene qui rappresentata all’interno di un’iconografia maledetta ben cara al bel tenebroso, ricca più che mai di reminiscenze ‘Screaming Trees’, come nelle incalzanti Riot In My House e Quiver Syndrome (quest’ultima infettata dagli stessi batteri sintetici di Sex Dwarf dei Soft Cell e di Little Sister dei QOTSA), di toni fiabescamente dark in Leviathan e Deep Black Vanishing Train, spiritati in Bleeding Muddy Water, placidi e distesi in Phantasmagoria Blues.

Le critiche di cui si diceva in apertura probabilmente fanno riferimento alle chitarre alla ‘the edge’ di Harborview Hospital o alla cassa dritta di Ode To Sad Disco, ma è un peccato per i detrattori non aver compreso che Lanegan qui si è posto come un novello Caronte che ci traghetta ‘fuori - e possibilmente vivi -  dagli anni ottanta’ con una lieve e struggente malinconia che grazie ai suoi toni mesti ci  impedisce di sputare indietro alla cieca.

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